Non è la pagella che promuove un prof


New York rende pubbliche le valutazioni dei prof: una soluzione non priva di rischi
ALESSANDRO D'AVENIA

Dare la pagella ad un insegnante è quello che - da studenti - abbiamo sognato tutti, solleticati dalla cattiveria di far sperimentare agli altri le pene che hanno inflitto a noi. Credo che ciò che è accaduto in alcuni istituti di New York non sia una grande novità per il nostro Paese. Non solo perché in alcune scuole gli studenti danno pubblicamente i voti agli insegnanti, ma soprattutto perché i voti li danno le infallibili mamme italiane. Il loro passaparola sull’effettiva validità di un docente di rado non va a segno, anche se un sistema siffatto è un correttivo inadeguato e si presta a comprensibili improvvisazioni. Non è un caso che mi capiti spesso di ricevere richieste da parte di genitori sulla scelta di un istituto e spesso mi trovo in imbarazzo.




Non si può più consigliare «una scuola» tout court, per semplice nomea e tradizione, ma bisogna andare a caccia della sezione o addirittura del singolo insegnante.

Il polverone che si è sollevato evidenzia però un’esigenza che nasce dal basso e che non può più essere elusa nella Scuola di oggi: le famiglie vogliono poter scegliere gli insegnanti dei propri figli e chi non vuole il meglio per i propri figli? Per scegliere un albergo o un ristorante leggiamo i giudizi degli avventori sui siti ad hoc, come facciamo per mille altre cose. Le famiglie vogliono conoscere chi scelgono. In uno Stato veramente democratico credo debba essere data sempre di più la possibilità di scelta ai cittadini e questo vale tanto più per l’istruzione, che non è solo una trasmissione di contenuti, ma un vero e proprio percorso di crescita umana in una fase delicata della vita come lo sono infanzia e adolescenza. Non si può improvvisare, non si può scegliere per fama, e deve essere data a tutte la famiglie la possibilità di scegliere, indipendentemente dal reddito.

Allo stesso tempo bisogna però considerare la limitatezza di un giudizio affidato esclusivamente ai risultati degli studenti (come è accaduto a NY), che può trovare classi con ragazzi più o meno dotati. I risultati, dato puramente quantitativo, non tengono in considerazione o sottovalutano aspetti più ampi della «storia» di un docente e della sua classe, che possono attraversare periodi di deserto prima della terra promessa. Un professore costruisce un percorso nel tempo, proprio con quegli studenti, e decide di raggiungere certi risultati secondo una gradualità che sfugge ai criteri di qualità delle aziende, valutate sulla base della correttezza delle procedure. Gli uomini sono uomini, non procedure.

Un professore potrebbe vedersi attribuire un punteggio scarso, per motivi che vanno al di là delle sue effettive capacità, qualsiasi insegnante questo lo sa bene. E comunque gli basterebbe gonfiare i voti per star tranquillo... La scuola non è certo come un ristorante, e se non basta il giudizio del cliente su una cena per licenziare il cuoco, figuriamoci in un ambiente di lavoro come la scuola, che è una relazione nel tempo, fatta anche di persone con le loro fragilità, cambiamenti e auspicabili miglioramenti.

Non sto proponendo di creare una casta di invalutabili, ma di considerare chi e che cosa valutare. Cosa si chiede all’insegnante di Francesco? Amare e conoscere la materia, amare e conoscere Francesco, amare e conoscere il modo in cui insegna la sua materia a Francesco. Sempre di più. Solo valutando adeguatamente queste tre aeree sarà possibile ottenere un giudizio sulla qualità di un docente: non basta il suo curriculum (un dottorato può non essere significativo per essere un buon insegnante), non basta essere stato tante ore in classe (l’età non è criterio né necessario né sufficiente), come è stato fino ad ora in Italia. Non basta un concorsone per fare un docente. Non basta l’età per fare un buon docente. Non basta un gruppo di studenti per valutare un docente. Non possiamo ridurre un insegnante, che ha studiato e lottato per un posto alla «costumer satisfaction» o alle procedure valide per le certificazioni di qualità con i prodotti materiali, ma occorre lavorare a monte. Credo che i nuovi percorsi di tirocinio e specializzazione (Tfa), sperando vengano presto attivati, rendano possibile tutto questo e si trovi finalmente un sistema alternativo al famigerato «punteggio», che riduce la meritocrazia della scuola al solo criterio di anzianità.

Non abbiamo bisogno di pagelle, ma di una Scuola fatta da docenti che abbiano ottenuto nel loro percorso di preparazione quello che pretendono dai loro allievi: voti alti. Il resto lo impareranno strada facendo, come in ogni professione.

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