Ddl Aprea 2, la scuola-azienda che non vogliamo

Marina Boscaino 24 Aprile 2012 (Fonte MicroMega)
Spiegare a chi non faccia il nostro lavoro perché è importante occuparsi di scuola sembra una cosa banale, mentre non lo è affatto. Attraverso la scuola stanno passando oggi fatti importanti, spesso gravi, senza che la maggior parte della gente se ne accorga nemmeno.
Il rischio è quello di sfociare in una tecnicalità che scoraggia la comprensione dei non addetti ai lavori. Tentando di essere il più chiara e schematica possibile, vorrei cercare di far capire perché – attraverso un provvedimento di cui quasi nessuno parla – rischia di passare un pezzo fondamentale della deriva mercantilistica che ha caratterizzato le politiche scolastiche degli ultimi anni.

Le domande sono: qual è la scuola che vogliamo? Riteniamo che garantire livelli di prestazioni decenti per tutti sia un obbligo etico, oltre che una necessità economica per il nostro Paese? Infine: abbiamo ancora a cuore principi (e pratiche) quali la libertà di insegnamento?

Forse qualcuno ricorda la questione del disegno di legge Aprea, che durante il primo anno del ministero Gelmini (eravamo nel 2008) suscitò la protesta di tutto il mondo della scuola. Rimasto in naftalina per alcuni anni – grazie anche al dissenso interno all’allora maggioranza – ecco che la proposta ritorna, emendata delle norme riferite allo stato giuridico dei docenti, ora che Valentina Aprea, la prima firmataria ed ex presidente della Commissione Cultura della Camera, si è dimessa per assumere l’incarico di assessore all’Istruzione in Regione Lombardia.

Autonomia statutaria delle Istituzioni Scolastiche (PDL 953) si chiama la nuova proposta di legge, il cui testo è stato approvato a larghissima maggioranza presso la VII commissione Cultura della Camera, come frutto di una serie di proposte di legge avanzate da rappresentanti della attuale maggioranza allargata, tra cui Aprea (Popolo della Libertà), Cota (Lega), Capitanio-Santolini (Unione di Centro), De Torre (PD). Lascia piuttosto perplessi soprattutto il coinvolgimento del Pd, che – ai tempi della prima proposta di legge Aprea, che iniziò il suo iter parlamentare il 3 luglio 2008, riuscendo ad alimentare la mobilitazione del mondo della scuola, che culminò nel movimento dell’Onda e nell’oceanica manifestazione dell’ottobre di quell’anno – si oppose ferocemente al provvedimento. Il re-styling della norma, cui il Pd ha operosamente collaborato, però, ridimensiona solo in parte la pericolosità dei contenuti della proposta originaria; ad essa solo l’Italia dei Valori sta tentando in tutte le sedi di ribadire il proprio no.

Il testo originario prevedeva una sezione sulla carriera del personale docente (articolata su tre livelli: iniziale, ordinario ed esperto) e sul reclutamento attraverso il concorso di istituto (cioè, chiamata diretta da parte dei dirigenti). Emendati tali elementi, ecco le novità:

a) si costituirà un Consiglio dell’Autonomia, organo che sostituirà l’attuale Consiglio di istituto. Di tale organo, rispetto al Consiglio di Istituto, non farà più parte alcun rappresentante del personale Ata, mentre entreranno a farne parte “membri esterni, scelti fra le realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, in numero non superiore a 2 (…)” (art. 6). Non sono fornite indicazioni sulle modalità attraverso cui i membri verranno individuati. Si passerebbe dunque dall’attuale situazione in cui l’intervento di esterni viene deliberato e autorizzato da Collegio dei Docenti e Consiglio di Istituto, ad un’entrata di esterni addirittura nell’ambito dell’organo di indirizzo della scuola. È lecito chiedersi quanto questo intervento comporterà in termini di trasparenza delle relazioni tra scuola e territorio, nonché di reale svincolamento delle proposte da logiche di convenienza o di clientela;

b) tale Consiglio dell’Autonomia elaborerà uno “Statuto autonomo”, diverso da scuola a scuola, relativo alle regole su questioni che riguardano sia la sua gestione dell’istituto, sia l’organizzazione degli organi interni, sia il delicato rapporto delle diverse componenti che ne fanno parte. Tali materie sono state fino ad oggi regolate da leggi dello Stato che hanno stabilito criteri identici sul territorio nazionale. Lo Statuto Autonomo, e la conseguente acquisizione dell’autonomia statutaria di ciascun istituto, determinerà vari piani di differenze, minando principi che sovrintendono all’unitarietà del sistema scolastico nazionale, minacciandone la conservazione: pericolose deroghe alla garanzia da parte dello Stato di pari opportunità per tutti gli studenti nell’esercizio del diritto allo studio.

c) Sarà lo Statuto a definire in ogni singola scuola le modalità attraverso le quali genitori e studenti avranno il diritto di partecipare: un colpo di spazzola al Dpr 416/74, accolto nel dlgsl 497/94 (il Testo Unico sulla scuola), che norma gli organi collegiali.

d) Il collegio dei docenti oggi esercita la sovranità su tutto ciò che attiene alla didattica. Lo Statuto autonomo della singola scuola detterà invece norme su questioni estremamente delicate tra cui “la composizione e le modalità della necessaria partecipazione degli alunni e dei genitori alla definizione e raggiungimento degli obiettivi educativi di ogni singola classe (art. 6 c. 4)”: una pericolosa incursione in materia di libertà di insegnamento.

e) È previsto un nucleo di autovalutazione della scuola che la legge Aprea istituisce e che avrà il compito di valutare la qualità complessiva della scuola. Ne farà parte uno o più membri esterni, (i criteri di scelta rimangono avvolti dal più stretto riserbo), in collaborazione con l’Invalsi.

f) All’art. 10 si trova un’ inauspicabile soluzione al problema delle carenze di fondi in cui versa la maggior parte delle scuole italiane, grazie anche ai debiti accumulati dallo Stato (circa 1,5 mld). Viene prevista esplicitamente la possibilità di “ricevere contributi da fondazioni finalizzati al sostegno economico delle loro attività”, sottolineando che tali fondazioni “possono essere soggetti sia pubblici che privati, fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, organizzazioni no profit (art. 10 c. 2)”. Tali soggetti avrebbero il proprio posto nel Consiglio dell’Autonomia: chi garantirà che l’erogazione di fondi non implichi anche precise direttive in merito alle scelte formative che la scuola dovrebbe adottare?

g) Infine l’art. sulla dirigenza. Nel testo di riferimento per la dirigenza scolastica, l’art. 25 del dlgsl 165/01, al comma 2 si legge: “Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane.” La parte relativa agli organi collegiali nel nuovo testo è emendata.

Il 4 aprile la Camera ha approvato la proposta di trasferimento del testo unificato alla VII Commissione Cultura in sede legislativa; ciò vuol dire che il testo unificato sarà approvato dalla Commissione e non dall’Assemblea, essendo sottoposto alla procedura destinata ai progetti di legge privi di speciale rilevanza di ordine generale o che rivestono particolare urgenza. Non ravvisandosi i termini per la seconda ipotesi, questo testo potrebbe diventare legge in virtù dell’approvazione di una commissione parlamentare perché, nonostante configuri uno stravolgimento della Costituzione, verrà trattato come fosse pura questione tecnica.

Il tema della revisione degli organi collegiali nella scuola è importante, soprattutto dopo l’istituzione della dirigenza scolastica, sancita dalla legge sull’autonomia, si sia d’accordo o no. In gennaio il ministro Profumo dichiarò a Radio Uno: “Io sto ragionando insieme alle persone del Ministero, come dare una maggiore 'autonomia responsabile' trasferendo direttamente alle scuole le risorse senza vincolo di utilizzo in modo tale che ci sia una maggiore autonomia reale, un'autonomia nelle scelte e credo che questo sia la strada". La direzione individuata da questa proposta è opposta a quelle dichiarazioni. Ma Profumo tace. Nonostante la lontananza dal concetto di autonomia responsabile di una proposta che, casomai, colloca la scuola in uno stato di subalternità rispetto ad eventuali finanziatori; che peraltro saranno molto più solleciti e presenti in alcune realtà e in alcuni segmenti dell’istruzione (si pensi al tecnico e al professionale) che in altri.

Non solo: tale ancillarità e tali divaricazioni verranno ulteriormente sottolineate dallo Statuto dell’Istituzione Scolastica; tanti statuti quante sono le scuole. Non solo dunque rottura dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, quella già disegnata dalla “riforma” Gelmini attraverso la determinazione di modelli regionali altamente diversificati, soprattutto nell’istruzione professionale, fortemente legata al tessuto imprenditoriale ed aziendale di riferimento, con conseguente ulteriore affossamento della scuola del Sud. Ma anche sostanziali differenze tra scuola e scuola, non solo per ciò che riguarda le new entry esterne e la loro eventuale munificenza, ma anche funzionamento interno, modalità di partecipazione, attività di organi.

Una revisione hard – con un’accelerazione incontrovertibile verso un modello di scuola-azienda – del novellato Titolo V della Costituzione, che sottrae di fatto allo Stato (garante di pari opportunità per tutti i cittadini) prerogative fondamentali per favorire l’uguaglianza sancita dall’art. 3, che vede nella scuola uno strumento imprescindibile.