PRECARI A SCUOLA E NELLA VITA, L’ESPERIENZA CHE HA PORTATO ALLA NASCITA DELLE SESSIONI RISERVATE E DELLA GAE DELLA LEGGE 124/1999 RACCONTANTA DI CHI VI PRESE PARTE.

Terza parte

di Giancarlo Memmo

Si è ormai aperta una seria crepa strutturale nelle nostre convinzioni aprioristiche.
E’ chiaro che andrebbe scissa l’abilitazione all’insegnamento dalla gara per il posto, se ciò non avviene, e non avviene, si creano delle aberrazioni. Abbiamo cioè, ad esempio, persone che hanno superato il precedente concorso abilitante, ma non superano l’attuale, ve lo immaginate un medico o un ingegnere che è alternativamente abilitato  alla professione? Una grossa idiozia che però nella Scuola italiana diventa somma verità e perfezione.
La gracile risposta dei consiglieri del Principe di Trastevere, che cercano di pronunciare il numero 341, la Legge che istituisce i corsi universitari biennali per il conseguimento dell’abilitazione, è fraudolenta. Ai corsi si accede,dopo la Laurea, eufemisticamente  a numero programmato, per cui realisticamente significa, per chi ce la farà, aggiungere un carico di tre anni ad un curriculum medio di sei o sette , cioè occorre aspettare e prepararsi per dieci anni per partecipare ai nuovi concorsi ordinari  per abilitati. Conviene sicuramente tentare l’accesso alla N.A.S.A.
Se ci spostiamo sul piano dell’efficacia, visto che sul piano dell’efficienza cioè dell’adeguatezza dei mezzi ai fini, le nostre iniziali convenzioni aprioristiche appaiono come barzellette per gonzi, la situazione non migliora. L’antinomia dei concorsi a zero posti è insuperabile anche per gli Acrobati di Viale Trastevere e si aggrava se analizziamo l’omogeneità delle commissioni giudicatrici. Da un punto di vista generazionale stiamo parlando di chi nella Scuola ci è entrato perché aveva occupato militarmente le Università negli anni 70, le quali per poter riprendere la loro attività e sgomberare le aule hanno dovuto regalare Lauree ed esami a candidati che avevano l’unico merito quello di “fare politica”, ovviamente a scapito dei contenuti disciplinari. Promossi sul campo! Naturalmente si poneva il problema occupazionale, risolto dal soccorso rosso sindacale che chiedeva e otteneva dai corrotti, ex post, governi democristiani e con l’aiuto dell’opposizione comunista, ogni tipo di sanatoria ogni tipo di ope legis. E’ curioso notare come questa generazione sessantottina  è quella  oggi, politicamente e sociologicamente, più reazionaria e conservatrice.
Sarebbe opportuno, se non fosse altro che per un problema di valutazione non autoreferente, che anche questi insegnanti di ruolo partecipassero ai concorsi ordinari come candidati. Mettiamoci in gioco tutti se non vogliamo che i diritti acquisiti diventino degli odiosi privilegi medievali.
Saranno corsi e ricorsi della Storia ma la nostra crepa sta diventando una faglia che corre velocemente e mette a nudo le macerie e i rottami di certe ideologie. Era demagogico il modo sessantottino di creare occupazione, lo è di più quello Ulivastro. Per quanto ci si sforzi di presentare falsamente i numeri, la contabilità creativa dice che i precari stabili sono per il Bilancio statale partita di spesa straordinaria, insomma un evento eccezionale che però dura da nove anni. Evidentemente oggi i posti nella scuola sono occupati dai precari stabili e i concorsi non creeranno neppure un solo posto di lavoro in più, quindi non siamo di fronte neppure un provvedimento che crea occupazione, al limite potrebbe cambiare i dati anagrafici, e lo farà, dell’elenco dei disoccupati dell’Ufficio provinciale del lavoro e, ironia della sorte, della massima occupazione. Creerà consenso politico ?
I più maligni dicono che ogni Onorevole e, aggiungiamo noi, ogni Sindacalista, ha dei parenti e dei conoscenti da sistemare. E’ prevedibile invece che il meccanismo delle aspettative crescenti dei candidati concorsisti creerà un esercito di delusi, di esclusi che prima o poi faranno valere le loro ragioni.  
Quindi una commissione giudicatrice di chi non ha superato alcun concorso ordinario nella Scuola ha la stessa validità di una commissione di insegnanti precari anziani che valutano i precari giovani. Anzi paradossalmente vale più la seconda. In effetti i precari rappresentano una risorsa del sistema scolastico, osiamo dire la linfa vitale,  rappresentano le nuove generazioni di insegnanti che rendono più viva e meno grigia la Scuola, falsificano la canzone di quel noto cantautore romano che sosteneva che il professore in trent’anni di onesta professione ripeteva la stessa storia nello stesso modo. E’ una generazione propensa all’innovazione, che ha un rapporto migliore con le nuove tecnologie. E’ una risorsa per la Scuola che andrebbe premiata. Non avverrà.
L’unico serio strumento di selezione efficiente ed efficace per far ricoprire la funzione docente é il concorso per titoli. Solo i titoli possono testimoniare le competenze disciplinari, le capacità didattiche, solo i titoli prodotti possono mostrare le capacità burocratiche. Solo una valutazione in itinere può mostrare le capacità umane e di relazione dell’insegnante. Non solo lo strumento del concorso ordinario non è adeguato, non è efficace, abbiamo anche sbagliato strumento. Il Re è nudo.
Le vergogne appaiono alla luce del sole. Chi riesce ad entrare nella Scuola italiana con un contratto a tempo indeterminato, avrà il posto di lavoro a vita. Gli altri no. Neppure, forse una condanna per pedofilia, potrebbe staccare l’insegnante a tempo indeterminato dal posto di lavoro. Lo scambio avviene come al solito in modo soft, concertativo, bassi salari per promesse di poco lavoro e posto fisso, altro che dignità docente. La dignità dei docenti i Sindacati l’hanno seppellita nelle poche decine di migliaia di lire di aumenti triennali di stipendio che ottengono dopo, dicono Loro, faticose e, diciamo noi, costose trattative incarnate nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, che appaiono più contratti a danno terzi, dove se il docente fosse un consumatore o una merce, avrebbe una maggiore tutela. La dignità docente è sancita nello sviluppo tabellare delle retribuzioni e nell’ambito delle voci stesse che compongono la retribuzione, che vedono la prevalenza della parte accessoria impiegatizia: lo stipendio sull’indennità di funzione, ovvero non esiste più. … (PROSEGUE)