Come per i rettori delle università, elezione democratica dei presidi delle scuole e unico mandato di sei anni.

Riceviamo da Polibio e pubblichiamo


Dal dirigente scolastico nominato al preside di una scuola democraticamente eletto, da restare in carica al massimo per sei anni. Elezione democratica come quella del rettore dell’università, con programma da realizzare e con vasta partecipazione. Le università sono autonome e ciascuna ha un proprio statuto, che trova il suo riferimento nelle norme di legge, approvato dagli organi di gestione. “La dirigenza scolastica nasce come diretta conseguenza dell’autonomia”, autonomia che non può non contemplare, per consolidarsi, l’elezione diretta, con “una presidenza elettiva e a termine”, del dirigente scolastico. Pertanto, si potrebbe procedere all’elezione democratica e a tempo determinato del preside di un istituto scolastico così come avviene per l’elezione del rettore dell’università: un preside eletto per una scuola efficace e democratica, un preside che non può essere un “super partes” e che invece deve essere un “primus inter pares”.
 
 

 
Il rettore rimane in carica per sei anni, e alla conclusione dei primi due anni viene decisa la permanenza per i quattro anni successivi. Nella scuola, il preside verrebbe eletto per un unico mandato di sei anni, caratterizzato da annuale valutazione.
 
Tra l’altro, appare assurdo che non vi sia in ciascuna scuola una commissione democraticamente eletta, composta di tre persone tra docenti e personale ata, con funzione di collegio giudicante, e che il preside possa essere un monarca assoluto. Con la contestazione d’addebito e l’avvio del procedimento disciplinare assume, insieme, le funzioni di denunciante, di giudicante e di decidere quale sanzione irrogare. Nelle università, per quanto concerne i procedimenti disciplinari, sono costituite commissioni, ciascuna con riferimento al livello di appartenenza dei docenti e per il personale tecnico-amministrativo.
 
L’autonomia della scuola non deve vedere in ”primo piano” la figura del “dirigente scolastico” sostanzialmente in pianta stabile, “super partes”. Di essa se ne potrebbe fare a meno, e con notevole risparmio per lo Stato, perché il preside democraticamente eletto (così come avviene per il rettore dell’università, e democraticamente eletti sono anche i direttori di dipartimento e i presidenti dei corsi di laurea, tutti professori ordinari a tempo pieno), manterrebbe lo stipendio maturato al momento dell’elezione (più un’indennità mensile di alcune centinaia di euro) e magari svolgerebbe sei ore settimanali di attività didattica (il rettore dell’università, tra le quali quelle con fino a 100.000 studenti, con più di 3.000 docenti, ciascuna con parecchie migliaia di discipline, con 1.000 e oltre 3.000 amministrativi, percepisce un’indennità mensile di alcune centinaia di euro e può chiedere agli organi di gestione, così come possono chiederlo i direttori di dipartimenti e i presidenti dei corsi di laurea, la riduzione dell’attività didattica).
 
Certo, per quanto riguarda il preside scolastico democraticamente eletto non deve trattarsi di una figura di scarso spessore culturale e professionale, bensì di una persona scelta all’interno di una rosa di qualità. L’elezione del preside è garanzia di scelta democratica, di effettiva partecipazione, di concreto impegno, di adesione a un programma condiviso (un programma che deve essere realizzato con la collaborazione della maggioranza che quell’elezione ha voluto e con la partecipazione della parte elettorale minoritaria, magari fortemente “critica” e con evidenti finalità di successo nella successiva tornata elettorale, impegnata a dimostrare la positività di una qualificata alternativa), di collaborazione alla realizzazione del programma, di permanenza nella stessa scuola.
 
Se nelle scuole c’è qualcuno che paventa il “rischio” che l’eletto alla funzione di preside possa essere qualcuno “disposto” a favorire il “clientelismo”, si sbaglia. I docenti sono in grado di valutare i requisiti professionali per svolgere una mansione così importante anche se a tempo determinato. Un preside democraticamente eletto risponde ai suoi elettori e soprattutto anche a coloro che non lo hanno votato, ma che sono molto attenti ai suoi comportamenti e al suo modo di gestire la scuola, che deve sempre avvenire nell’assoluto rispetto delle norme vigenti e delle delibere del Consiglio d’istituto e del Collegiale dei docenti.
 
Sull’elezione democratica del preside ci sono stati disegni di legge (due presentati, nella passata legislatura, rispettivamente, dal Pd, Francesco Laratta e Cesare Marini, e dall’Idv, Zazzera, alla Camera, e da 11 senatori al Senato). Convergono l’Associazione nazionale docenti, la Gilda degli insegnanti, molti dirigenti sindacali del comparto scuola, i rappresentanti sindacali unitari.
 
L’elezione potrebbe derivare dalla condivisione di alcune regole: l’avere conseguito una laurea quadriennale, o quinquennale a ciclo unico o triennale seguita dal biennio della specialistica; la permanenza di almeno cinque anni nell’istituto scolastico; il master universitario di secondo livello in dirigenza scolastica; la frequenza di corsi di formazione e di specializzazione con conseguimento del relativo diploma; le abilitazioni all’insegnamento e le specializzazioni; non chiedere il trasferimento in altra sede durante il mandato;la valutazione positiva dell’eventuale attività svolta da preside durante i sei anni del mandato.
A eleggere democraticamente il preside saranno gli insegnanti, il personale ata, i rappresentanti dei genitori degli alunni nel Consiglio d’istituto. C’è un aspetto che depone positivamente: a presentare la propria candidatura alla carica di preside saranno sempre gli insegnanti migliori, che si confronteranno apertamente per ottenere il consenso degli elettori. E i docenti e i non docenti elettori, compresi i rappresentanti dei genitori degli alunni nel Consiglio d’istituto, sapranno scegliere.
 
Polibio