Scrivere nell'Era di Twitter

«Nell'era digitale abbiamo sempre più bisogno di scritture brevi, che siano in grado di farci fermare e riflettere in un mondo che accelera»

di Giuseppe Granieri

 
«In 14 anni di lavoro nei giornali», scrive Carlos Lozada sul Washington Post, «ho imparato diverse cose. In questi anni ne ho aggiunta una: quando sto editando un pezzo devo essere sempre sicuro che contenga qualche frase memorabile adatta a essere twittata e ritwittata».
E quando lo fa, spiega sempre all'autore dell'articolo: «Fidati, in questo modo avrai più lettori».


Ci stiamo arrivando tutti, piano piano. I luoghi come Facebook, Twitter e Google+ sono probabilmente il principale canale di distribuzione dei contenuti, oggi.
«Anticipare la risposta dei social», scrive Carlos, «è diventata una parte importante del lavoro di confezionamento dei pezzi». Lozada, racconta, si sentiva in colpa quando lo faceva e pensava all'antico metodo di cesello e di ricerca di perfezione nella costruzione della frase. Poi ha letto un libro di Roy Peter Clark -che recensisce nel suo articolo- e ha cambiato prospettiva. 
Il libro si intitola, non a caso, How to Write Short: Word Craft for Fast Times e, in sintesi, spiega come «nell'era digitale abbiamo sempre più bisogno di scritture brevi, che siano in grado di farci fermare e riflettere in un mondo che accelera».

 


Ma Carlos tocca un altro punto importante per riflettere su come stia cambiando la tecnica di scrittura per il web. E confessa di amare le liste. 
«Trasformare un pezzo in una lista», spiega, «può salvarlo e farlo apprezzare di più dai lettori». Non è un discorso nuovo: nel mondo anglofono spesso si dice «non darmi un pezzo, dammi una lista» e a me torna in mente un vecchio elenco -un po' serio e un po' scherzoso- sul perché ci piacciono gli elenchi.
Ma il lungo ragionamento di Lozada contiene diverse altre «confessioni» e merita una lettura integrale: Confessions of an editor: A review of ‘How to Write Short’ by Roy Peter Clark.

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