Replica ad un Dirigente Scolastico ( 3° parte )

di Franca Corradini


Ribadisco ancora una volta che non sono affatto contro i progettifici per rivendicazioni ideologiche astratte, ma per ragioni molto concrete legate alla mia esperienza diretta.
Vengo ora alla questione cruciale della scarsa trasparenza nella gestione politico-finanziaria e della democrazia collegiale, che versa in condizioni di estrema decadenza.
Dall'emanazione nel 1974 dei Decreti Delegati che istituirono varie forme e strumenti di democrazia collegiale nella scuola, la partecipazione alla vita e al funzionamento degli organi collegiali si è progressivamente ridimensionata e deteriorata, fino ad essere sancita solo sulla carta. Oggi il potere decisionale detenuto ed esercitato all'interno degli organi collegiali (Consigli di Istituto, Collegi dei docenti, Consigli di classe, interclasse e intersezione) esclude sempre più la maggior parte delle famiglie, degli studenti, del personale docente e non docente. In pratica l'esercizio del potere politico-decisionale nelle singole realtà scolastiche è riservato ad una ristretta cerchia oligarchica formata dal Dirigente scolastico e dai suoi più stretti e fidati collaboratori.
Esaminiamo il caso emblematico di un organo essenziale come il Collegio dei docenti.
Un tempo il Collegio dei docenti era la sede deputata a discutere di argomenti più elevati, vale a idre tematiche di tipo psico-pedagogico, per cui gli insegnanti più aperti, curiosi, motivati, culturalmente preparati e coscienti, avevano modo di confrontarsi e di maturare sotto il profilo intellettuale e professionale. Oggi i Collegi dei docenti sono ridotti ad essere centri di ratifica puramente formale e di adesione acritica alle delibere assunte altrove dai Dirigenti e dai loro staff di collaboratori. L'avallo avviene in genere mediante procedure antidemocratiche che esautorano e mortificano la dignità e la sovranità decisionale dei Collegi stessi. Questi sono ormai il luogo più alienante e passivizzante in cui al massimo si affrontano questioni finanziarie, senza fornire la dovuta trasparenza informativa e normativa, senza riferire alla platea collegiale tutti i dati, le notizie ed i parametri relativi al budget effettivo di spesa delle singole scuole.




Insomma, i Collegi avallano spesso e volentieri senza nemmeno conoscere fino in fondo l'oggetto reale posto all'ordine del giorno all'attenzione degli organi collegiali: si pensi, ad esempio, alle somme e ai fondi economici aggiuntivi, in taluni casi piuttosto cospicui, stanziati ad esclusivo vantaggio e sovvenzionamento di un'esigua minoranza di colleghi che, guarda caso, finisce per coincidere esattamente con la cerchia che fa capo al cosiddetto "staff dirigenziale", tanto per usare una terminologia assai cara ai "presidi-manager" e tipica del triviale gergo aziendalista che oramai imperversa nelle scuole.
Da troppi anni la scuola pubblica italiana risente di un deficit crescente di collegialità e dialettica democratica. In modo particolare, gli spazi di libertà e partecipazione si sono ridotti, subendo colpi letali inferti dai precedenti governi senza soluzione di continuità.
Con l'istituzione dell'autonomia scolastica e l'applicazione della legge n. 53/2003 (meglio nota come "riforma Moratti", a cui ha fatto seguito l'opera di affossamento compiuta dalla Gelmini, affiancata in questo disegno demolitore dal ministro Brunetta) è stata introdotta una dei ruoli di stampo oligarchico, imponendo un'impostazione autoritaria e creando una profonda divisione gerarchica nel quadro delle relazioni umane e professionali tra i lavoratori della scuola. In particolare, all'interno del corpo docente si è prodotta una netta disparità di redditi e funzioni non corrispondenti a meriti o capacità reali, a qualifiche professionali o specifiche competenze, innescando un processo di mercificazione delle mansioni didattiche e un effetto di aziendalizzazione (oltretutto maldestra) degli ordinamenti e dei rapporti interni, caratterizzati in termini di comando e subordinazione, che hanno logorato ed azzerato la democrazia collegiale.
Negli ultimi anni abbiamo sperimentato come l'avvento dell'autonomia scolastica e l'attuazione della "riforma Moratti" non abbiano sortito  esiti positivi in termini di apertura delle scuole alle reali esigenze del territorio. La formulazione giuridica dell'autonomia non ha stimolato le scuole ad esercitare un ruolo di traino culturale rispetto al contesto sociale di appartenenza. In troppi casi le istituzioni scolastiche assumono posizioni di sudditanza psicologica verso i poteri egemoni a livello locale: mi riferisco anzitutto alle Pubbliche Amministrazioni, che si dimostrano incapaci o restie a finanziare le iniziative progettuali di arricchimento qualitativo dell'offerta formativa. A ciò si aggiunga un imbarbarimento dei rapporti umani, per cui si assiste a conflittualità sempre più frequenti. Tale degenerazione è una conseguenza dell'autonomia, che non ha generato equità ed efficienza, ma ha creato solo irrazionalità, contrasti, assenza di certezze, violazione di norme e diritti, premiando gli atteggiamenti più arroganti e furbeschi, esasperando le rivalità e gli egoismi più venali. In questo disegno restauratore e disgregatore sono palesi le responsabilità politiche dei precedenti governi che hanno avviato la demolizione della scuola pubblica e della democrazia partecipativa, per cui il precedente governo Berlusconi ha avuto la possibilità di infliggere il colpo letale al diritto costituzionale all'istruzione grazie alla controriforma varata dal ministro Gelmini.
 In tal modo lo stato di confusione, disorientamento, la crisi delle norme democratiche e sindacali, si sono accentuati, acuendo le contraddizioni intestine al mondo della scuola.
Spero che queste ulteriori riflessioni siano chiare ed esaurienti, ancorché non esaustive.


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