Leggo che il ministero ha
intenzione di ripartire con una consultazione in grande stile rivolta
addirittura a tutta la popolazione per farsi un’idea di come si voglia la
scuola e per fare ancora una volta una riforma. Poi leggo in rete articoli e
saggi veri e propri sulle necessità e i bisogni della scuola: sono scritti che
provengono sia dal mondo universitario sia da quello dei diversi ordini
scolastici. Leggo poi tutta una serie di indicazioni sul sistema di valutazione
nazionale fino ad arrivare al sistema di valutazione nelle classi. L’idea che
mi sono fatta è che per far fronte agli abbandoni e alla dispersione,
generalmente i docenti puntano il dito verso la carenza totale di risorse,
verso un sistema che li demotiva penalizzandoli economicamente fino al punto di
bloccare gli scatti stipendiali o, addirittura, cosa gravissima e
anticostituzionale, di lasciarli senza stipendio; essi spesso ricordano al
ministro di turno che servono investimenti sul sostegno, un piano serio che
riveda gli orari delle discipline nell’ordinamento vigente, che ridia dignità
agli studi umanistici, in particolare alla storia dell’arte e alla storia. Essi
chiedono strumenti per lavorare, investimenti anche sul facile consumo e sulla
dotazione di libri alle biblioteche. La situazione del precariato e dei
supplenti ha raggiunto il fondo, e da più parti si chiede che venga totalmente
rivista la legge Fornero per consentire un ricambio generazionale e
professionale; da più parti si sollecita la formazione di classi con un numero
ridotto di alunni anche e soprattutto in presenza di portatori di qualche
disabilità. Molti lamentano l’aggravio della burocrazia, in particolare per ciò
che riguarda il registro elettronico e la sua funzionalità e utilità pratica
alquanto criticata. In tanti chiedono di rivedere il meccanismo dei voti che ha
conseguenze sulle pratiche metodologiche e didattiche. Molti esplicitano
perplessità o addirittura contrarietà per la gerarchizzazione dei ruoli dentro
la scuola che vede una responsabilizzazione eccessiva di alcuni collaboratori
del dirigente, spesso reggente e oberato di lavoro su più plessi e scuole, e
una mancanza di coinvolgimento democratico nelle scelte organizzative,
pedagogico-didattiche degli altri in un clima di sospetti reciproci e di
mancanza di ascolto, collaborazione, cooperazione e ricerca didattica che abbia
una ricaduta vera sulle classi e sugli apprendimenti. Non piace l’Invalsi così
come è strutturato, ma neppure si ritiene utile una valutazione tout court
di sistema su base censuaria e a base di item che ovviamente per la vastità e
per la complessità di insegnamento/apprendimento non possono essere altro che
un’occhiatina dal buco della serratura su un puntino infinitesimale di
competenze, le quali invece sono immensamente diversificate nei curricoli di
studio e nei processi che si attivano per raggiungerle. Chiedono investimenti
su un’edilizia che letteralmente crolla e che sia adeguata alle richieste
ministeriali e dei programmi e quindi preveda aule diversamente progettate in
cui sia possibile fare laboratorio, organizzare gruppi di lavoro, insegnare in
rete, ecc. C’è poi tutta una serie di annotazioni che paiono essere ininfluenti
per la qualità del lavoro che oggi si pretende, e invece andrebbero tenute in
grande considerazione: sono le condizioni esistenziali di un docente precario
che vorrebbe insegnare stabilmente oggi, nel terzo millennio, il quale è
impegnato spesso in un’annosa lotta quotidiana estenuante non soltanto per
superare concorsi o per attendere una chiamata che non arriva e che quindi lo
distrugge moralmente ed economicamente, ma anche quando lo stesso si ritrova a
lottare con trasporti inesistenti, spostamenti da una parte all’altra tra
plessi talmente distanti fra loro da richiedere non un autobus sgangherato,
bensì un elicottero! Si dirà: “Ma cosa c’entra
tutto questo elenco di disagi con la qualità della scuola e con la lotta ad
abbandoni e dispersione?“ C’entra eccome, se si vuole una scuola che sia
diversa da quella degli anni ’50, quella, per intenderci, del Maestro di
Vigevano con l’indimenticabile Alberto Sordi. Se la si vuole al passo con i
tempi, c’entra mille volte, e soprattutto la consultazione annunciata dal
ministro così come la valutazione di sistema, di un sistema che fa acqua e
schiaccia i propri lavoratori, non approderà a nulla. In realtà la scuola per
ora si è basata sul volontariato di quegli stessi insegnanti che esprimono i
disagi, ma che poi una volta dentro le aule ce la mettono tutta per tappare le
falle, per adempiere, anche se con rabbia, alle sciocchezze burocratiche
imposte, per affiancare i ragazzi e le ragazze, per avere contatti con le
famiglie. So che ogni qualvolta si rivendica la dignità di quanto si fa e si è
fatto, una gragnola di insulti e di esempi tranchant viene portata per
sostenere la tesi di una scuola che obera di compiti, di insegnanti fannulloni
e ingiusti, ma ogni volta che la figura del magister vitae viene
infangata, si abbassa ancor più il livello culturale di un intero Paese. Allora
in molti si pensa che il sistema non ha bisogno della valutazione di sistema
che valuta la valutazione dei docenti che valutano gli studenti, perché una
valutazione di ciò che non c’è ma che si vorrebbe ci fosse, non ha senso! Semplicemente
la scuola ha necessità vitale di politiche generali di attenzione al lavoro e
ai lavoratori, di ascolto delle esistenze di ognuno/a di loro, in particolar
modo se tali lavoratori ogni giorno reggono le sfide della società complessa in
cui operano e pazientemente si arrabattano per far sì che la campanella non
suoni a vuoto. Sarebbe poi un segnale di democrazia e civiltà matura il
concepire un sistema universitario che riconsegnasse dignità alla creatività,
all’indipendenza dei soggetti nello scegliere di sperimentare modalità e
strumenti divergenti dai vincoli imposti dalle griglie e dalle esigenze, anche
in questo caso burocratiche, del tenere sotto controllo ricerche e
pubblicazioni, lasciando che il pensiero critico di ogni docente potesse
scorrere e correre liberamente. Sarebbe utile che tra università e scuole
venisse favorita un’alleanza di ricerca sia in campo disciplinare sia in campo
pedagogico-didattico, affinché ci fosse una ricaduta in tempi brevi sulle
azioni degli insegnanti nelle classi e nel Paese. Tra la scuola e l’università
andrebbero aperti canali di comunicazione di facile percorribilità. Si leggono
analisi politiche che ci fanno riflettere sulle cause per le quali scuola e
università vengono tenute in uno stato di soggezione economica e culturale a
colpi di tagli, indagini statistiche allarmanti e griglie. Francamente sono
analisi a dir poco inquietanti, perché portano tutte alla conclusione che ogni
essere umano impegnato nella formazione e nello sforzo di elevare le condizioni
di vita e di libertà dei giovani, sarebbe volutamente e deterministicamente
condizionato a permanere e a far permanere in uno stato di sudditanza al fine
di venire usato per il mercato e per il consumo. Certo ci sono migliaia di
esempi che possono avvalorare tali analisi, ma un insegnante non può e non deve
adattarsi all’accettazione di un mondo che obbliga a sferzare i tempi degli
apprendimenti, che taglia ogni aiuto alla disabilità, che vorrebbe far
rientrare le persone nelle statistiche valutative, che non fa ricerca, che basa
i rapporti sulla monetizzazione e la mercificazione. L’insegnante non può e non
deve permetterselo perché il suo lavoro deve essere quello dell’invito a creare
un nuovo progetto di vita nel mondo, alla creazione di un mondo che includa
tutti e ogni pezzettino di quei tutti, a partire da un se stesso che dialoghi
con i pezzettini degli altri per ricomporre un mosaico di senso e di bene
comune. Ultimamente ho letto l’intervista a Gianni Bocchieri, ex direttore
generale INVALSI e devo dire che le analisi di cui ho scritto sopra sembrano
proprio realistiche: egli con candore disarmante alla domanda “Come valuta
le critiche al lavoro svolto dall’Istituto?” risponde: “Coloro che
contestano sia le prove standardizzate, sia le prove censuarie appartengono a
quel pedagogismo italico, che ha storicamente creato i più gravi disastri alla
scuola italiana e che rimetterebbe volentieri le mani sull’Invalsi per
sottrarlo al campo delle discipline economiche ed econometriche di Cipollone e
Sestito“. (in “Invalsi, istruzioni per il nuovo presidente”). Ancora una volta, le
colpe dello sfascio del sistema al’ 68! Ancora una volta economisti con un
amore sviscerato per l’econometria esprimono giudizi e usano l’ascia ideologica
con il paraocchi sulla delicatezza del sistema scolastico reso fragilissimo
proprio dagli stessi economisti dei vari governi che si sono succeduti negli
anni! Effettivamente il nostro mondo non ha nulla a che fare con il loro,
sebbene debba ogni giorno confrontarsi con la realtà costruita proprio da loro.