Il governo investe un po’ nelle aule e taglia ancora gli stipendi dei professori

di Roberto Ciccarelli


Il governo Renzi inve­ste sull’edilizia sco­la­stica (3,7 miliardi), ma con­ti­nua a tagliare gli sti­pendi dei docenti e del per­so­nale Ata che per­met­tono le lezioni, man­ten­gono aperte le aule, ten­gono in vita i labo­ra­tori e le altre atti­vità. E in più non offre ancora una rispo­sta agli eso­dati della scuola (i circa 4 mila «Quota 96»), mal­grado una mozione par­la­men­tare l’abbia impe­gnato a farlo. Per il sot­to­se­gre­ta­rio Gra­ziano Del Rio la spen­ding review da 32 miliardi di euro «coin­vol­gerà anche la scuola e toglie­remo le incro­sta­zioni». Per la pre­ci­sione que­ste incro­sta­zioni cor­ri­spon­dono, al momento, agli sti­pendi di chi inse­gna. La mini­stra dell’Istruzione Ste­fa­nia Gian­nini ha ammesso di non saperne niente. «Sarei stu­pita se ci fos­sero tagli alla scuola» ha detto l’esponente di Scelta Civica che solo un paio di set­ti­mane fa aveva addi­rit­tura pro­messo di «creare un pro­blema poli­tico al governo» se non avesse rifi­nan­ziato il fondo per scuola e uni­ver­sità. «A me non è stato comu­ni­cato niente di spe­ci­fico, quindi credo che la spen­ding riguar­derà l’alta diri­genza dello stato e quindi inclu­derà anche il nostro ministero». Il Docu­mento di Eco­no­mia e Finanza (Def) però parla di tutt’altra realtà. Insieme al taglio degli sti­pendi dei diri­genti strom­baz­zato da Renzi c’è infatti il taglio degli sti­pendi dei docenti e ata ordi­nari. Nell’insieme la stra­te­gia eco­no­mica del governo potrebbe essere così descritta: inve­stire sul capi­tale fisso, e non su quello «umano». Con il risul­tato, se e quando arri­ve­ranno i soldi, che ver­ranno create occa­sioni di lavoro gra­zie ai can­tieri, men­tre il per­so­nale impe­gnato den­tro le aule verrà pagato sem­pre meno, sarà sem­pre più pre­ca­rio e non recu­pe­rerà il potere d’acquisto man­giato dalle spen­ding review dei governi Monti e Letta.



Scelte con­fer­mate anche nel Def che fa un reso­conto della spesa nel pub­blico impiego. Dal 2007 al 2012 è calata del 5,6%. Nel 2013 i tagli hanno com­por­tato una ridu­zione degli sti­pendi e la ridu­zione del numero dei dipen­denti nella P.A. Il set­tore che più ha con­tri­buito alla causa dell’austerità pro­gram­mata è stato appunto la scuola dove i con­tratti di lavoro non ven­gono rin­no­vati dal 2010. Il blocco è stato pro­lun­gato da Letta e Sac­co­manni fino al 2015, poi con­fer­mato da Renzi e Padoan. Sulla base di que­sta pro­gram­ma­zione, i fondi per la scuola sono desti­nati a scen­dere dello 0,7%, ver­ranno sta­bi­liz­zati nel trien­nio suc­ces­sivo, per ini­ziare a cre­scere di un micro­sco­pico 0,3% a par­tire dal 2018. Con­si­de­rata l’incertezza che regna sovrana sulla spesa pub­blica, non è detto che que­ste pre­vi­sioni ver­ranno rispettate. In realtà quello pre­ven­ti­vato non è un “aumento” della spesa per il per­so­nale, bensì solo l’effetto dell’attribuzione dell’indennità di vacanza con­trat­tuale per il trien­nio suc­ces­sivo 2018–2020. A oggi, que­sta inden­nità resta ancora bloc­cata e non verrà resti­tuita. La scuola si con­ferma uno dei set­tori più col­piti del pub­blico, insieme alla sanità. La spesa per il fun­zio­na­mento ordi­na­rio di scuole, uni­ver­sità o enti di ricerca è pas­sata da 1,11 miliardi del 2011 a 0,95 del 2013. Nello stesso periodo per il mini­stero dell’Economia è quasi rad­dop­piata da 2,62 a 4,79 miliardi. Quello tra Gian­nini e Del Rio non è dun­que solo un pro­blema di comu­ni­ca­zione. È una deci­sione pon­de­rata e nota da tempo. La prima non ne è al cor­rente. Il secondo, che porta i conti, invece sì.

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