Last but not least, purtroppo….(a proposito del CLIL)

di Anna Angelucci


15 settembre 2014

A quanto pare, alla follia ministeriale del ‘nuovo che avanza’ nella scuola proprio non c’è limite. A furia di proposte indecenti spacciate per innovazione didattiche e metodologiche sono diventata più conservatrice di Margareth Thatcher e più ostinata nell’autodifesa di John Dumbar nelle praterie del Nebraska.  L’ultima novità, in ordine d’arrivo è la circolare n. 4969 dello scorso 25 luglio, per intenderci quella che impone il CLIL (Content and Language Integrated Language) ovvero, in italiano, l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica, frutto avvelenato del riordino della scuola secondaria realizzato da Gelmini.  Tradotto in parole povere: da quest’anno, per legge, nel triennio del liceo linguistico e in tutte le classi quinte degli altri istituti superiori, una qualunque materia deve essere insegnata in inglese. Se non è una materia intera, che sia almeno la metà. Se proprio non si arriva alla metà che sia almeno un progetto interdisciplinare. Da chi? Dagli insegnanti di quella materia, naturalmente, purchè dotati di adeguata certificazione linguistica e di corso di perfezionamento universitario. Oppure di una buona conoscenza della lingua anche se ancora frequentanti il corso universitario. Oppure con una buona conoscenza della lingua anche se non certificata, non frequentanti il corso ma con la disponibilità a farlo. Oppure capaci di mettere insieme due parole in inglese e dotati di buona volontà. Meglio ancora, se accompagnata da una certa dose di incosciente superficialità.
Formazione? Zero. Investimenti? Zero. Fondi specifici per le scuole? Zero.
I dirigenti meno allineati criticano le deprecabili modalità ministeriali ma nel contempo cercano affannosamente docenti disponibili. E giù telefonate, loro e dei loro accoliti, condite da inviti, suppliche, richieste, minacce. I collegi dei docenti si trovano a inizio d’anno con questa ennesima tegola sulla testa, dopo la geostoria, gli Invalsi, i Bes e chi più ne ha più ne metta, e non riescono a elaborare nessuna riflessione minimamente sensata sul piano epistemologico, culturale e didattico.
Perché una disciplina non linguistica in lingua straniera? E quale? E come? E con quali finalità? Entro quale orizzonte di senso?
Nelle more, chi svicola, chi alza la mano, chi lancia sguardi interrogativi, chi si offre, chi soffre, chi si indigna. Magari c’è pure qualcuno che già si vede in tasca i futuri, mirabolanti 60 euri del Renzi-merito, chissà.
Bene, a breve in tutte le scuole del regno un folto drappello di docenti meritevoli – realmente capaci o non capaci, che importa, è la meritocrazia, bellezza! - insegnerà ai nostri figli una materia dell’ultimo anno in inglese. 
Saranno certamente “i più adatti” e “parte della futura squadra con cui si giocherà la partita dell’istruzione”, ci conforta Renzi nel rarefatto pidgin evoluzionistico e berlusconiano con cui ha stilato “La buona scuola”.
Good luck.