La “buona scuola” e l’abolizione delle bocciature

di Vincenzo Pascuzzi
Non un solo documento. Fino a prova contraria, al momentonon esiste un SOLO documento o mozione di assemblea sindacale e-o collegio docenti che abbia approvato la “buona scuola” di Renzi, Giannini & C. C’è invece la richiesta di una scuola buona al posto e contrapposta alla “buona scuola”!
Appena due mesi dopo. “La delusione è totale ora che è possibile mettere l’uno accanto all’altro il rapporto su ‘La buona scuola’ e la legge di stabilità e quindi confrontare le intenzioni con i fatti”.
La legge di stabilità ha cancellato la riforma di Renzi. Eppure se ne continua a parlare come di proposta seria, realizzabile, ben accetta. L’establishment ministeriale di Viale Trastevere è soddisfatto – così proclama – dei risultati della consultazione on line, li esibisce compiaciuto, dice che va tutto bene, che la “buona scuola” piace a tutti, è promossa a pieni voti.
In realtà non è affatto così, “la buona scuola non scalda i prof”,la partecipazione on line è inferiore all’uno per cento. Gli incontri-dibattiti (appena mille in tutt’Italia) non coinvolgono, somigliano a comizietti dove le voci non allineate o contrarie (le poche che li frequentano) risultano sgradite, vengono messe in soggezione, a mala pena tollerate, di fatto tacitate dall’organizzazione e dai tempi contingentati. Eppure Miur e Governo non vogliono prenderne atto, continuano a mistificare e mentire.
Due abusivi. I 150.000 docenti precari da assumere il 1.9.2015 e la sicurezza, la messa a norma, ecc. degli edifici scolastici sono due questioni da affrontare e risolvere comunque e di per sé, sono impropriamente aggregate alla riforma renziana. Sono due prerequisiti. Appaiono associati alla “buona scuola” come riempitivo, dolcificante, oggetti di scambio finto con pezzi di riforma che sono di sicuro svantaggio. Entrambi andrebbero separati, espunti. Infatti, a giorni, le 150.000 assunzioni potrebbero essere adempimentoimposto all’Italia dalla Corte UE (vedi anche qui e qui).

Mentre continuano a cadere controsoffitti. Specialmente nelle scuole superiori che dipendono dalla Province. Le altre fanno capo ai sindaci e forse sono avvantaggiate nei finanziamenti.
I geologi denunciano: “27.920 edifici scolastici a elevato rischio” (4856 in Sicilia, 4608 in Campania, 3130 in Calabria, 2864 in Toscana, 2521 nel Lazio) (vedi anche quiquiquiqui) e lanciano un “progetto didattico per diffondere la conoscenza dei rischi naturali”. Il governo dovrebbe provvedere al recupero e messa in sicurezza degli edifici, o no? (vedi qui,qui e qui). Già nel 2011, i geologi avevano lanciato, più o meno, lo stesso avvertimento.
I soldi. Per allinearsi alle mitiche medie UE (invocate quando fa comodo, ma sconosciute se danno fastidio) l’Italia dovrebbe aumentare di un punto percentuale di Pil gli investimenti in istruzione, cioè occorrerebbe aumentare di 17 mld di euro. Gradualmente nell’arco temporale di una legislatura di 5 anni. Troviamo queste cifre sia nel programma elettorale PD del febbraio 2013 sia nella piattaforma sindacale Cgil Scuola del luglio 2014. Ma il documento renziano “la buona scuola” ignora le cifre dette, vorrebbe riformare (usa questo termine) a costo zero, a buon mercato, riciclando gli scatti di anzianità, al più con un miliardo lordo o 500 mln netti! (vedi qui)
Insieme. Un proverbio africano dice: “Ci vuole un intero villaggio per crescere un bambino”. Papa Bergoglio l’ha adattato – il 10 maggio scorso – alla scuola: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Adesso Matteo Renzi cerca di esportarlo anche alla sua “buona scuola” quando scrive: “Perché per fare la Buona Scuola non basta solo un Governo.Ci vuole un Paese intero”. Però questo è uno slogan, al più un auspicio, e non basta enunciarlo perché si realizzi e si avveri. Il villaggio africano partecipa alla crescita-educazione spontaneamente, in solidarietà e non costretto.
L’espressione usata da Renzi cambia la natura e travolge il proverbio originale. Si passa dal villaggio al Governo e al Paese e ciò implica l’intervento della politica con le sue burocrazie, gerarchie e caste. E poi Renzi sembra voler imporre… il gradimento al “Paese intero”, nonostante la promessa iniziale “mai più riforme della scuola calate dall’alto”!
Rubinetto e acquedotto. È durata meno di un mese l’ipotesi del ministro Giannini di effettuare gli Esami di Stato (ex Maturità) con commissioni di tutti membri interni, abrogando il correttivo introdotto da Fioroni alla precedente normativa di Moratti. Alla retromarcia ministeriale e governativa (vedi qui equi) ha contribuito il buon successo della petizione on linelanciata da Giorgio Allulli dell’Isfol (vedi anche qui e qui).
Scampato il pericolo con la retromarcia del governo, lo stesso Giorgio Allulli rilanciava chiedendo giustamente una “riforma seria dell’esame di maturità”.
In proposito qualche osservazione può risultare utile. Paragoniamo l’esame di maturità (ora propriamente di Stato) a un rubinetto posto al termine di una conduttura o acquedotto. Se il rubinetto è mal funzionante, risulta opportuno ripararlo o sostituirlo, non c’è dubbio. Ma se è ridotto in cattive condizioni anche l’intero acquedotto, questo non migliorerà certo con la sostituzione del solo rubinetto.
Il paragone idraulico serve a segnalare le non buone condizioni dell’intero sistema scolastico (didattica, valutazioni, esami) confermate del resto dall’iniziativa di riforma, anche se velleitaria, inadeguata, pasticciata.
Scuola tra realtà e modelli. Ricordiamo che per “modello” di qualcosa si intende una “rappresentazione semplificata della realtà finalizzata a certi scopi”. Della scuola, come di altre realtà, sono possibili diversi modelli. Modelli dell’esame di maturità possono essere: la percentuale di promossi, la votazione media, il numero di 100 e lode.
Il documento “la buona scuola” opera su un modello di scuola inadatto e non condiviso con la pretesa di trasformarlo in un altro modello anch’esso inadatto e non condiviso. La non condivisione è riferita al mondo della scuola (docenti in primis) che conosce, vive e soffre la scuola REALE e al quale sembrerebbe richiesto – da parte dell’establishmentministeriale-governativo, distante dalla realtà scolastica – un ubbidiente “signorsì, signore!” accompagnato da un deciso e sonoro schiocco di tacchi! Se è così, siamo sulla strada sbagliata! (vedi qui)
Il degrado cognitivoDa anni avanza il “degrado cognitivo”, lo denuncia efficacemente una docente (Elsa): “Per far avanzare i più “deboli”… si abbassa progressivamente il livello di insegnamento e i “bravi”… si demotivano sempre di più e la didattica annacquata… produce classi appiattite e spente”.
Nel 2002, Marco Lodoli testimoniava “gli adolescenti non capiscono più niente. I processi intellettivi più semplici, un’ elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta,… sono diventati compiti sovrumani“. Queste sono le falle e le perdite dell’acquedotto del precedente punto, non rimediabili con la sostituzione del rubinetto dell’esame di maturità finale. Sono le falle e le perdite che Miur quasi ignora, non indaga, di cui non cerca le cause e che (forse) si illude di tamponare con dosi abbondanti di test Invalsi e di valutazioni inquisitorie minacciate ai docenti.
Il degrado valutativo. Affiancato a quello cognitivo, esiste il degrado valutativo, che ne è conseguenza e insieme causa(non unica però) e, in un certo senso, i due degradi si rincorrono e si rinforzano a vicenda. Si abbassano i livelli di insegnamento per andare incontro ai più deboli (come dice bene Elsa) e questo andare incontro favorisce e implica per il futuro ulteriori abbassamenti di livelli.
Questa situazione di deriva cognitiva è percepita dai docenti che pure vorrebbero contrastarla efficacemente, ma concretamente non sanno in che modo. Alcuni chiamano in causa ancora i danni del ’68 (e sono passati più di quarant’anni, quasi due generazioni), il buonismo, l’illusione del successo formativo garantito per tutti, ecc., vorrebbero contrastare il degrado con una finalmente ritrovata serietà-severità (cioè votacci, conseguenti bocciature, provvedimenti disciplinari,…). Ma questa – a mio giudizio – non è una strada né efficace, né praticabile, tanto meno condivisa o condivisibile dalla maggioranza dei docenti.
Del resto, nemmeno i ministri che si sono succeduti ultimamente si sono posti seriamente il problema, la cuisoluzione richiede tempi multipli della durata dei governi e dei ministri, oppure improbabili staffette di continuità tra un ministro e l’altro. Governi e ministri si accontentano di pseudo-soluzioni effimere e di facciata, tanto per giustificarsi. Da notare che il degrado valutativo (promozioni agevolate anche a fronte di livelli abbassati: vedi quiqui e qui) occulta in parte il degrado cognitivo. In fondo, alla maggioranza di famiglie e studenti interessa più la promozione formale che l’apprendimento reale e sostanziale. Si accontentano.
Ipotesi sulle cause. Diverse le cause dei due degradi detti, che vanno o andrebbero verificate, approfondite, discusse per poi cominciare a rimuoverle.
a) Una delle cause, forse la principale, consiste nel fatto di avere una normativa incongruente che contempla sia un obbligo scolastico ora decennale sia una valutazione numerica, che implica o implicherebbe la bocciatura. Questa contraddizione viene in genere superata – e giustamente – non bocciando quasi mai. Per fare ciò bisogna però alterare e delegittimare la valutazione numerica: così è la promozione che determina i voti, e non viceversa. Tutti si reputano bravi anche se non lo sono o sono appena appena sufficienti.
L’andazzo descritto si propaga poi, come una muffa, alla scuola secondaria superiore, che non è ancora dell’obbligo, dove produce e rafforza il degrado cognitivo. Da notare il ruolo perverso attribuito al voto di consiglio. Introdotto nel 1923-25 per poter ovviare alle impuntature di qualche prof troppo rigido e severo, ora – in alcune scuole, meno nei licei, più nei tecnici e nei professionali – è diventato uno strumento abusato di promozioni facili e immeritate, di condoni e riduzioni di debiti formativi, di conseguente frustrazione e scontento di chi le sufficienze se l’è invece conquistate con applicazione e studio.
b) Altra causa può essere la rigidità, gravosità e inadeguatezza del curricolo imposto: troppe ore, troppe materie, didattica datata e stantia, aule troppo affollate, inadatte e spartane, edifici vetusti, tristi e insicuri.
Serve un’ecologia della scuola a misura di bambino-ragazzo consiglia, ad esempio, il pediatra C.V. Bellieni (“Riforme a misura di bambino”), ma di cui non troviamo nessuna traccia nella cosiddetta “buona scuola (buona per chi? a giudizio di chi altro? Secondo quali parametri indicatori?).
Non dimentichiamo che alla scuola attuale siamo arrivati non con una progettazione o riprogettazione specifica, ma con successivi adattamenti (riforme in genere varate come “epocali”, tagli etichettati come razionalizzazioni) della severa ed elitaria scuola gentiliana del 1923. Accanto e in parallelo a questa scuola per pochi, esisteva per molti altri – la maggioranza – il percorso del lavoro precoce che fungeva anche da scuola, istruiva e formava in un certo modo, aveva i suoi maestri, era in contatto diretto (non mediato o rappresentato) con la realtà del momento, complementava e dava senso alla scuola elitaria (non esistono cavalieri o cocchieri senza cavalli, senza stallieri, scudieri, postiglioni…).
La scuola media unica del 1962 sembra essere, almeno in parte, fallita sia per chi sceglie i licei sia, e di più, per chi si orienta sugli istituti tecnici o professionali. Forse l’errore è stato quello di finalizzarla ancora e per inerzia agli studi liceali. Forse la media unica avrebbe dovuto conglobare, assorbire in parte la scuola del lavoro, i contenuti e le attività dell’avviamento professionale, ma così non è stato. Del resto chi fa scuola, la gestisce, la riforma periodicamente ha ancora una formazione da scuola elitaria, viene principalmente dai licei e dalle lauree umanistiche, letterarie.
Ora i tanti ragazzi che non riescono – e la colpa è solo loro, ma anche della scuola come sistema – a terminare la scuola superiore risultano ingannati e derubati dei 4 o 5 anni che avrebbero potuto più utilmente utilizzare con un lavoro che facesse anche da scuola. È un discorso brutale e sgradito, ma che va fatto. Se lo Stato obbliga – e fa bene – a stare a scuola fino a 16 o a 18 anni, poi deve provvedere concretamente a che questa permanenza abbia davvero senso e sia proficua e utile. L’obiettivo deve essere un successo scolastico reale e concreto, non solo nominale, formale e fasullo! La certificazione, il diploma deve avere due caratteristiche essenziali: a) essere veritiero e b) riferirsi a dei contenuti utili per il seguito (lavoro o ancora studio).
c) Lo stesso anno della riforma Gentile, il 1923, veniva fissato in 8 ore giornaliere (e 48 settimanali) il tetto massimo di esigibilità del lavoro dipendente. Da allora e fino a circa gli anni 60 (potremmo indicare circa il 1962, anno della scuola media unica) in genere era solo il padre che lavorava fuori casa, la madre presidiava la casa e poteva sorvegliare i figli. Adesso se lavorano entrambi i coniugi (come pure è giustissimo), durante tutta la giornata, la casa risulta deserta di adulti. I figli minori sono come “orfani di giorno: può accadere che un ragazzo di 13-14 debba occuparsi – nell’intero pomeriggio e da solo – di una sorella o di fratello ancora più piccolo. La famiglia anche con un solo figlio è diventata un… ossimoro.
Bisogna senz’altro diffondere e generalizzare la disponibilità di asili e doposcuola statali e insieme pensare anche aridurre gli orari di lavoro, puntare alle 30 ore settimanali: le case devono essere presidiate nel pomeriggio da un adulto. Questa – delle 30 ore settimanali – può sembrare una bestemmia, ma abbiamo in Italia 3 mln di disoccupati e a quasi tutti qualcuno (pochissimo lo Stato!) fornisce in qualche modo vitto e alloggio. Allora forse occorre, può essere utile pensare a una “pace tra poveri”.
Serve un’ecologia della famiglia, riprendendo l’espressione di C.V. Bellieni.
Rimedi inefficaci. Per il recupero del degrado cognitivo,risultano inefficaci o inapplicabili metodi già applicati o proposti. Uno di questi è il ricorso a maggiore severità e maggiori bocciature. Non risulta superabile il limite attuale di bocciati pari a circa il 16%: impensabile raddoppiarlo!
Stimolare presunte… difese immunitarie tramite dosi massicce di test tipo Invalsi è solamente illusorio e provoca altri inconvenienti (cheating, learnig to the test, scioperi,… ), deciso rifiuto e rigetto.
Non convince, allo stato, la proposta di F. Dell’Oro di abolire i voti anche se alcune sue argomentazioni risultano vere e fondate.
Buscar el levante por el poniente. Eppure, tenendo conto delle considerazioni sopra formulate, un qualche rimedio va cercato, o almeno ipotizzato e proposto. Bisogna cercare nuove strade e approcci diversi e alternativi. Fare un po’ come Colombo che voleva “buscar el levante por el poniente” e insieme scegliere qualcosa di simile alla strategia dolce e vincente del Sole invece di quella forzuta del Vento per togliere il mantello al viandante della favola esopica.
Si può avanzare la proposta o l’ipotesi di abolire le bocciature, ovvero rinunciare a bocciare d’autorità, da parte della scuola, ma consentire le ripetenze, se scelte e decise dalla famiglia dell’alunno.
A fine anno scolastico, ogni alunno riceve una scheda con le valutazioni (giudizi, voti numerici, voti in lettere) conseguite in ogni materia e indicate da ciascun docente. Si tratta di voti VERI (ovviamente soggettivi, nessuna falsa oggettività), non mediati, imbellettati, falsati dal Consiglio di Classecostretto dalla situazione normativa a certificare promozioni fasulle a fronte di apprendimenti insufficienti e preparazioni carenti e lacunose.
Così la valutazione riconquista la sua veridicità e serietà, i docenti recuperano, almeno in parte, la titolarità e la responsabilità piena della valutazione e anche il loro prestigio professionale. Finiscono promozioni formali indebite e condoni pietosi da parte dei Consigli di Classe, si rinuncia alle valutazioni formali falsificate a vantaggio di valutazioni vere e reali. Eliminato o ridotto il degrado valutativo, può ragionevolmente avviarsi il recupero graduale (quasi un drenaggio) del degrado cognitivo, si possono cominciare a ridurre le dispersioni scolastiche, si hanno indicazioni valide sulle difficoltà di apprendimento e sui punti critici.
Le scuole devono attrezzarsi a rendere disponibili serie attività di recupero (corsi o altro) e momenti verifica per chi vuole formalizzare la valutazione sufficiente raggiunta.
Questo tipo di possibile soluzione è stata avanzata e motivata già negli anni passati (da una decina d’anni o più) e da diverse fonti (vedere link), viene ora di nuovo segnalata all’approfondimento, alla discussione, al confronto e magari all’adozione.