Studentessa cade negli spogliatoi della palestra, la scuola deve risarcire il danno

Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 25 febbraio 2016, n. 3695
Svolgimento del processo
1. Nel 2006, L.F. e C.M.P. , nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sulla minore L.A. , convennero in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per ottenere la condanna al risarcimento dei danni patiti dalla minore, allora tredicenne, in conseguenza dell’infortunio a lei occorso nel 2002 alla fine dell’ora di educazione fisica presso la Scuola media a cui era iscritta, che quantificavano in Euro 11.500,00. Esposero che la figlia, mentre si trovava negli spogliatoi dei locali adibiti dalla scuola a palestra per cambiarsi dopo la lezione di educazione fisica, era scivolata a causa del pavimento bagnato sbattendo la bocca ed in particolare i due incisivi superiori, riportando postumi invalidanti permanenti del 2%, per la rottura di un elemento dentale.
Si difese il Ministero chiedendo il rigetto della domanda ed osservando che non erano state allegate violazioni dei doveri di sorveglianza, nel caso non esercitabili in forma continuativa perché la caduta della fanciulla era avvenuta nei servizi igienici; che, inoltre, la circostanza che il pavimento fosse bagnato avrebbe al più potuto configurare la violazione di obblighi custodia della cosa, non imputabili alla scuola, ma al Comune proprietario dell’edificio in cui si svolgevano le attività ginniche, su espressa autorizzazione dei genitori; che, infine, il pavimento dei servizi era bagnato non per incuria dell’ente gestore, ma perché la minore aveva causato la scivolosità del pavimento bagnandolo durante le sue abluzioni.
Il Tribunale di Trieste, con la sentenza n. 1158/2007, respinse la domanda attorea, rilevando l’assenza di rapporto causale tra l’evento e la condotta del personale scolastico, che non aveva potuto evitare la caduta della studentessa determinata da accidentalità fortuita.
2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Trieste, con sentenza n. 186 del 23 marzo 2012.
3. Avverso tale decisione, propone ricorso in Cassazione, la signora L.A. (nel frattempo divenuta maggiorenne), sulla base di sei motivi.
3.1 Resiste con controricorso il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.
Motivi della decisione
4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 1218 c.c..
Lamenta la ricorrente che la sentenza della Corte di Appello di Trieste sarebbe viziata laddove le attribuisce l’onere di indicare le idonee misure che il personale scolastico avrebbe dovuto assumere, in ottemperanza al proprio obbligo di custodia, al fine di evitare l’evento occorso.
Essendo applicabile al caso concreto la disciplina di cui all’art. 1218 c.c., come riconosciuto dalla stessa Corte di Appello, l’attrice era tenuta soltanto a provare che il danno si fosse verificato nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale scolastico (circostanza mai contestata dal Ministero), mentre era onere del convenuto dimostrare che l’evento dannoso fosse stato determinato da causa allo stesso non imputabile.
4.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., lamentando l’”omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fattore controverso e decisivo pregiudizio”.
La ricorrente sostiene di aver comunque indicato, in corso di causa, le condotte omissive imputabili agli insegnanti, consistenti nella mancata preventiva ispezione dei locali prima dell’ingresso degli alunni, nella omessa richiesta di intervento del personale delle pulizie o nel mancato trasferimento della scolaresca in altro locale.
Al riguardo, la Corte di Appello, da un lato, avrebbe erroneamente negato che tali allegazioni siano state compiute, dall’altro, con motivazione assolutamente illogica ed incoerente, avrebbe affermato che, trattandosi di locali privati dove la scolaresca si stava cambiando, era inopportuna e non richiesta la presenza dell’insegnante.
In realtà, la L. non sarebbe caduta a terra all’interno di un bagno o di una doccia, ma nell’anticamera degli spogliatoi, zona di passaggio nella quale l’insegnante sarebbe sicuramente potuta entrare per vigilare sulla condotta degli studenti. D’altra parte sarebbe stato sufficiente che, prima dell’ingresso della scolaresca, i locali fossero ispezionati dagli insegnanti per verificarne l’idoneità e valutare le opportune cautele.
Infatti, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’obbligo di custodia dei minori comprende anche la garanzia dell’idoneità dei locali messi a disposizione dall’istituto scolastico.
E nel caso, la pericolosità dei locali, seppur non derivante da una condizione intrinseca di essi, era riconducibile ad un alterato stato degli stessi, peraltro non imputabile all’ente proprietario, ma proprio a coloro che si erano assunti l’obbligo di custodia in quanto, dalle testimonianze acquisite, era emerso che l’acqua sul pavimento degli spogliatoi sarebbe stata portata da fuori dagli studenti con le scarpe bagnate o sarebbe penetrata dalla luce degli spogliatoi lasciata aperta.
4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 2051 c.c. e/o motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria circa un fattore controverso e decisivo per il giudizio”.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso un potere di ingerenza dell’istituto scolastico sui locali dove si svolgevano le lezioni.
Il Ministero non avrebbe svolto alcuna difesa in tal senso, limitandosi ad escludere che i pavimenti degli spogliatoi fossero lavati tra una lezione e l’altra di educazione fisica e quindi che l’acqua sul pavimento avesse avuto origine dalle operazioni di pulizia.
In realtà, le doglianze dell’attrice vertevano sul comportamento omissivo del personale docente, individuabile nel fatto di non aver adeguatamente vigilato sui minori che gli erano stati affidati e di non aver neppure preventivamente ispezionato i locali degli spogliatoi, in violazione dell’obbligazione, assunta dal personale scolastico in virtù del rapporto contrattuale tra i genitori ed il Ministero, di tenere gli stessi minori indenni da qualsiasi insidia e pericolo.
4.4. Con il quarto ed il quinto motivo, la ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 2048 c.c.” nonché la “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fattore controverso e decisivo per il giudizio” per aver la sentenza della Corte di Appello affermato l’efficienza causale della sua condotta nella causazione del sinistro.
Il Ministero, al di là di astratte allegazioni, non avrebbe fornito alcuna prova per dimostrare l’asserito concorso colposo della minore, o per escludere che il pavimento fosse già bagnato e scivoloso quando i ragazzini avevano fatto ingresso nei locali.
Anzi, quest’ultima circostanza, pacificamente emersa dall’istruttoria espletata in primo grado, è stata arbitrariamente disattesa dalla Corte di Appello, la quale ha invece affermato che il pavimento era stato presumibilmente bagnato durante il cambio degli abiti al termine della lezione ginnastica per lo scorretto uso dei lavandini da parte delle stesse alunne.
Inoltre, la Corte d’Appello avrebbe errato nel richiedere che fossero dei ragazzi di tredici anni a denunciare agli insegnanti l’anomalia.
4.5. Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fattore controverso e decisivo per il giudizio” per aver la sentenza della Corte di Appello erroneamente ritenuto insufficienti le prove sulla responsabilità del Ministero convenuto per il mancato soccorso alla minore da parte degli insegnanti nell’immediatezza del sinistro.
In realtà, il disinteresse da parte del personale docente, emerso dalle testimonianze, avrebbe ulteriormente aggravato la violazione dei doveri a cui lo stesso personale era tenuto nei confronti della minore in virtù del rapporto contrattuale in essere, comprensivo dell’obbligo di prestarle la dovuta assistenza. Tale violazione sarebbe stata sufficiente a configurare la legittima pretesa al risarcimento del danno, ricondotto al nocumento psicologico e morale subito dalla ragazzina, quantificato sotto la voce di danno non patrimoniale (nella specie morale ed esistenziale), la cui quantificazione era stata rimessa alla valutazione equitativa del Giudice.
5. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono fondati e vanno accolti.
È principio consolidato di questa Corte che, in caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità dell’Istituto scolastico e dell’insegnante ha natura contrattuale, atteso che, quanto all’Istituto, l’accoglimento della domanda di iscrizione determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligo di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità del discepolo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni; quanto al precettore, tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale il primo assume anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’alunno si procuri da solo un danno alla persona (cfr. Cass. Sez. Unite 27 giugno 2002, n. 9346; v. anche Cass. Civ. Sez. III, 3 marzo 2010, n. 5067; Cass. Civ. Sez. III, 20 aprile 2010, n. 9325).
Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico dell’insegnante, è applicabile il regime probatorio imposto dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre il danneggiato deve provare esclusivamente che l’evento dannoso si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sulla scuola incombe l’onere di dimostrare che P evento è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante (cfr., di recente, Cass. Civ. Sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3612).
La sentenza impugnata, pur ritenendo nella specie configurabile un rapporto contrattuale, che prevede fra l’altro un dovere di sorveglianza del personale scolastico a protezione dei discenti loro affidati, e pur richiamando correttamente il principio sopra riportato in tema di ripartizione dell’onere probatorio, aggrava illegittimamente l’onere probatorio a carico del danneggiato, affermando che quest’ultimo avrebbe l’onere di allegare le modalità del comportamento inadempiente, onde consentire all’onerato di fornire la prova liberatoria.
Altrettanto correttamente la ricorrente censura la motivazione della sentenza la quale afferma che, nella specie, l’appellante non avrebbe indicato la condotta idonea a prevenire o limitare la probabilità del sinistro, diversa da quella concretamente posta in essere dal personale insegnante.
Per orientamento assolutamente consolidato di questa Corte dall’iscrizione alla scuola, deriva, a carico di essa, l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue manifestazioni e, quindi, anche l’obbligo di vigilare sull’idoneità dei luoghi, predisponendo gli accorgimenti necessari in conseguenza del loro stato, mentre sul danneggiato incombe l’onere di provare soltanto che il danno è stato cagionato durante il tempo in cui egli era sottoposto alla vigilanza del personale scolastico.
È infatti indifferente che colui che agisce per ottenere il risarcimento del danno subito dall’allievo durante il tempo in cui era affidato alla scuola invochi la responsabilità contrattuale di questa per negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza o la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie — avuto riguardo sia all’età degli allievi e quindi al loro grado di maturazione, sia alle circostanze di tempo e luogo – secondo l’ordinaria diligenza, onde salvaguardare la loro incolumità mentre spetta all’amministrazione scolastica dimostrare di aver esercitato la sorveglianza sugli allievi con diligenza idonea ad impedire il fatto dannoso (cfr. Cass. n. 3081/2015; Cass. n. 3680/2011; Cass. n. 24997/2008).
Tale principio deve esser applicato nel caso di specie, in cui il danno alla minore è derivato da uno stato pericoloso del locale di pertinenza durante lo svolgimento dell’attività scolastica (pavimento dello spogliatoio reso scivoloso dall’acqua, circostanza che la Corte di appello — pag. 10 della sentenza impugnata — ha ritenuto “non solo prevedibile, ma frequentissima in qualsiasi spogliatoio con annessi locali di pulizia”) in tal modo escludendo l’eccezionalità e l’imprevedibilità dell’evento, vieppiù, come ha messo in luce la stessa sentenza, in un giorno in cui era abbondantemente piovuto e la luce dello spogliatoio, non raggiungibile per chiuderla, era rimasta aperta con conseguente caduta della pioggia all’interno di esso, e, come ammesso dallo stesso Ministero, in mancanza tra una lezione e l’altra di pulizia degli spogliatoi, prevista solo alla fine dell’uso degli stessi da parte di tutte delle classi.
Né assume rilievo la circostanza che i locali dello spogliatoio non fossero nell’istituto scolastico, ma fossero ubicati in un centro polisportivo gestito da altri enti, sia perché anche il detentore è custode, salvo che provi l’assoluta mancanza di potere di ingerenza o di intervento sul bene che, per anomalia estrinseca, è divenuto dannoso (Cass. 1948 del 2033, 4279 del 2008), sia perché la ricorrente aveva posto a fondamento della domanda risarcitoria l’omessa vigilanza anche sui locali adibiti a spogliatoio prima di consentirne l’uso ai discenti (secondo un principio già affermato da questa Corte in cui è stata ritenuta la responsabilità dell’amministrazione scolastica e dell’insegnante per il danno autoprocurato dall’allievo nel corso dell’ora di educazione fisica svolta su un campo, non di proprietà della scuola, privo di attrezzature idonee ad evitare danni, e che anzi presentava il fondo sconnesso: Cass. Civ. sez. III 3 marzo 2010, n. 5067), la cui giovanissima età doveva indurre gli insegnanti ad adottare le opportune cautele preventive indipendentemente da qualsiasi segnalazione di pericolo da parte degli stessi.
5.1. I motivi quattro e cinque e sei sono assorbiti.
6. Concludendo la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata per nuovo esame alla luce dei principi di diritto innanzi richiamati.
Il giudice di rinvio provvederà altresì sulle spese anche di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione.