Si vuole riportare un articolo di Valeria
Fedeli pubblicato sulle pagine de Il Sole 24 Ore che parla di scuola, dalla
dispersione scolastica alle pratiche di alternanza scuola – lavoro. Nell’articolo
si scrive: “ Poco più di un anno fa
partecipai, in rappresentanza del Senato, alla presentazione della prima
ricerca nazionale sui costi della dispersione scolastica realizzata da
Intervita, Associazione Bruno Trentin e Fondazione Giovanni Agnelli. Quello che
più mi colpì, fra i dati emersi, fu il tasso di abbandono del 18,8%, rispetto
alla media europea del 14,1%. Oggi, a distanza di poco più di un anno, i dati
aggiornati forniti da Eurostat riferiscono di un abbandono scolastico nel
nostro Paese che è ancora tra i più alti d’Europa, con il 17% di media, di cui
il 20,2% uomini e il 13,7% donne. Parlo di abbandono scolastico perché credo
questo sia la cartina di tornasole del nostro sistema-paese, che ora ha
bisogno, più che di una riforma scolastica, di riformare l’idea stessa di
scuola. Dove questa idea non sa rinnovarsi e tradursi in comunità, governance,
sistema, crescono i dati della criminalità, delle violenze, delle dipendenze.
Per questo credo sia importante il fatto che tutti abbiano la possibilità di
partecipare, con proposte e iniziative concrete, alla progettazione della
scuola del futuro. Contribuiamo tutti e
tutte a fare proposte e discutere su quelli che sono i temi fondamentali della
nostra scuola, come appunto la dispersione scolastica, oppure le classi di
concorso, le abilitazioni dei docenti, il rapporto tra scuola e integrazione
interculturale, tra scuola e lavoro. Su quest’ultima relazione, in particolare,
tra scuola e mondo del lavoro, credo si debba e si possa dare priorità, perché
l’alternanza scuola/lavoro diventi un modello di riferimento; anche se le
attuali linee-guida del Miur puntano a raddoppiare il numero di ore formative
in azienda e a rendere obbligatoria questa alternanza, almeno per gli istituti
tecnici e professionali, dovremo essere capaci di fare di più. Con l’ultimo
report presentato su questo argomento, l’Unione europea ha recentemente
evidenziato come alla base della bassa disoccupazione, e in particolare di
quella giovanile, riscontrabili in Germania e nei Paesi Bassi, ci siano proprio
i metodi dell’alternanza e dell’apprendistato strutturati nel sistema
educativo. Per questo, in Italia la piattaforma formazione-lavoro dovrà
rinnovare le capacità negoziali del sistema scolastico nei confronti del
territorio e del sistema imprenditoriale. Ovviamente un modello formativo unico che vada
bene per tutte le diverse realtà sociali è difficile da individuare, e forse
non è neanche auspicabile: ciò che dobbiamo realizzare è l’inclusione, nel
nostro modello, di quelle buone pratiche che possano contribuire a sviluppare
un nostro percorso di sviluppo delle competenze e delle capacità, e questo sarà
possibile proprio se sapremo valorizzare le nostre specifiche vocazioni
economiche e culturali. A volte si rimane stupefatti, ad esempio, nel sapere
che ci sono aziende che in Italia vorrebbero investire ed assumere ma non
riescono a trovare una manodopera con adeguate competenze: anche questo indica
il fatto che una scuola che non funziona fa male a tutta l’economia, e che per
voltare pagina occorre anche una nuova cultura d’impresa, orientata alle
partnership con le scuole e al metodo dei laboratori come incubatori di talenti
e occupazione di qualità. Di una buona scuola abbiamo tutti bisogno, in questo
senso, proprio per migliorare la qualità stessa della forza lavoro delle nuove
generazioni e dunque il relativo livello delle produzioni. Stiamo parlando di
una scuola che instauri quell’indispensabile circolo virtuoso che altrove, in
Europa, è stato coltivato già da anni, tra istruzione, formazione,
competitività. Anche questo vuol dire saper governare il cambiamento: creare
una scuola che sappia rispondere alle domande di nuove politiche di welfare, in
un mercato del lavoro fortemente legato alle esigenze di formazione continua
(life-long learning) e a logiche più o meno accelerate di obsolescenza
professionale. Educare alla formazione, mi permetterei di dire, dovrebbe essere
il disegno di una scuola del futuro che per essere progettata ha bisogno di
tutti noi. Dobbiamo azzerare, nei prossimi anni, quel dato che ci parla di
ancora 4 milioni e 355 mila ragazzi che non studiano, non lavorano, non sono in
formazione, cosiddetti NEET. La scuola, in questo senso, non può essere solo
luogo dell’apprendimento: dovrà essere in grado di far crescere uomini e donne.
Sono sicura sia questo il momento più opportuno per agire, perché questa è una
stagione di rinnovamento del paese a tutti i livelli che ci permette di
riconoscere alla scuola il valore istituzionale che merita. Il capitale sociale
del futuro, che essa rappresenta, dovrà necessariamente vivere con vocazione
paritaria incentivando, ad esempio, l’Erasmus in azienda, e non solo nei
programmi formativi universitari. Perché ciò che stiamo progettando è, a ben
vedere, la nostra comunità futura, dove la competizione di lavoratrici e
lavoratori dovrà dipendere non più da una cieca concorrenza sui costi del
lavoro, ma dalla qualità delle conoscenze e della loro capacità di rinnovarsi “.