Educare non è addomesticare, ma tirare fuori quello che di buono c'è in ogni uomo.

di Giuseppe Felaco

Molto ci si è interrogati nel passato e ci si continua ad interrogare su cosa si debba intendere per educare. Molte sono state le risposte: trasmettere valori, esperienze, conoscenze, cultura. Ma cosa intendiamo per valori, conoscenza, esperienze, cultura? L'etimologia della parola ci aiuta a comprendere meglio, cosa significa educare. Il termine deriva da «tirare fuori», «condurre fuori da». L'etimologia presuppone che esista qualcosa in ogni uomo che deve essere scoperto: ogni uomo è insieme un mistero e un progetto da realizzare. Educare diventa, allora, l'azione per far scoprire la pienezza del loro essere, affinché possano a loro volta diventare educatori, ossia liberatori, che non attendono solo di essere «liberati» ma di diventare essi stessi liberatori, ossia di dare senso a tutte le loro capacità. Guardiamoci bene dal sottovalutare l'unica cosa sulla quale possiamo agire e che risale alla notte dei tempi pedagogici. Gli insegnanti che salvano, formati o meno per farlo, sono quelli che non perdono tempo a cercare le cause dell'infermità scolastica dei ragazzi e tanto meno si lamentano delle proprie condizioni economiche o della carriera. Sono quelli che hanno capito che occorre agire in fretta, buttandosi giorno dopo giorno, ancora e ancora, pur sapendo che non c'è nulla di scontato nel rapporto educativo, sono quelli che sanno solo che hanno di fronte, adolescenti in pericolo. Gli insegnanti di cui si parla sono adulti, ricchi della propria umanità, che hanno capito che educare è una gioia e una responsabilità, e allo stesso tempo un'avventura affascinante.