Il
limite di molte mappe concettuali
Quasi tutte le proposte formative
riguardanti la progettazione per mappe concettuali hanno un vizio di fondo: la
totale identificazione con il cartaceo.
Ora senza nulla togliere alla scrittura
a mano o per mezzo della stampa, le mappe concettuali hanno bisogno di andare
oltre. I motivi sono diversi, quasi tutti però afferiscono alla teoria
costruttivistica dell’apprendimento, che molto deve allo sviluppo delle
neuroscienze.
Il
nostro pensare “per finestre”
E’ assodato, infatti, che il nostro modo
di ragionare e di comunicare procede per link, sottolink o se vogliamo per
directory e subdirectory. In altri termini pensiamo e parliamo per concetti e
sottoconcetti, i quali se si presentano con le caratteristiche della
significatività risultano inseriti in una rete di collegamenti. Gli studiosi
Novak e Gowin fanno dipendere la profondità concettuale con il numero dei
collegamenti che afferiscono al concetto, il quale a sua volta diventa punto di
partenza per altri collegamenti . Siamo di fronte a una mente reticolare (
software ) che rispecchia fedelmente il suo hardware: il cervello organizzato
per sinapsi.
L’asimmetria
tra il cartaceo e il nostro modo di pensare
In questo contesto le mappe concettuali
cartacee costringono la nostra mente a frenare la sua natura reticolare,
costringendola anche ad una staticità cognitiva che non le appartiene. Mi
spiego sul secondo punto. Ogni lavoro cartaceo, ma il discorso si estende a
qualunque produzione artistica “ è consegnato”, diventando un prodotto, che si
caratterizza per la sua staticità, fissità e di conseguenza diventa
immodificabile. Questa sua natura si colloca asimmetricamente rispetto alla
dinamicità della nostra mente, ma anche agli sviluppi delle scienze. Ecco
spiegati i motivi di più edizioni di un libro o al rifacimento di opere
teatrali o brani musicali.
Il
contesto naturale delle mappe
Dal ragionamento si deduce che le mappe
concettuali se non riescono a trovare prevalentemente e stabilmente una loro
collocazione in un contesto ipertestualizzato, rischiano di assomigliare a una
macchina di grossa cilindrata utilizzata però solo in un contesto urbano.
Per
realizzare questo però occorrono docenti-formatori conoscitori delle teorie
costruttivistiche, esperti di software strutturanti e destrutturanti la
conoscenza e soprattutto disposti a sperimentare percorsi e itinerari più
aderenti con il modo di ragionare dei “nativi digitali”, ossia dei nostri
studenti.
Gianfranco Scialpi