La nemesi della Lega, nata da Tangentopoli e finita tra le mazzette

La storia politica è piena di nemesi, ma una crudele e grottesca come quella della Lega non s’era mai vista. I forcaioli della prima Tangentopoli sono diventati i nuovi socialisti della seconda. Precisi. In una settimana sono passati dalle manifestazioni in piazza contro la giunta Formigoni, “perché non si può andare avanti con un arresto al giorno”, alla teoria del complotto dei magistrati. Tutto perché stavolta hanno pizzicato uno dei loro e uno grosso, il Davide Boni, a trafficare mazzette di milioni di euro, altro che Mario Chiesa, in cambio di licenze per nuovi centri commerciali.






In uno studio televisivo sento la difesa di Attilio Fontana, sindaco di Varese, e mi sembra di riascoltare Carlo Tognoli, vent’anni dopo. Boni ne uscirà pulito, non si fanno i processi in piazza. Ma certo, salvo che la Lega sui processi in piazza, nel ’92 e dintorni, ha costruito tutte le sue fortune. Bossi e Maroni sono una riedizione più mesta del duo Craxi-Martelli, che litigavano su tutto, ma si ritrovavano all’unisono nella difesa dei tangentisti.  È soltanto l’ultimo testacoda di una serie ormai infinita di giravolte e tradimenti del Carroccio. Era il movimento dell’antipartitocrazia e risulta ora il più “romano” di tutti. Era quello della lotta agli sprechi, dell’abolizione degli enti inutili, “a cominciare dalle Province”, ed è diventato il fiero paladino delle Province e della lottizzazione selvaggia. Era il baluardo della difesa del martoriato territorio del Nord Est dagli scempi ambientali, “mai più capannoni”, “basta Tir”, ed è diventato il padrino politico della peggior cementificazione privata e pubblica mai conosciuta dalla Padania dal Dopoguerra, il principale sponsor del raddoppio della rete di autostrade nella regione più asfaltata d’Europa, la Lombardia, il nemico giurato dei No Tav, contro i quali invoca l’esercito.
Alle ultime elezioni ha giurato al popolo lombardo di risolvere “in quattro e quattr’otto” la questione Malpensa e il risultato è che Malpensa è andata in rovina. Perfino la minaccia della secessione alla fine si era ridotta alla pagliacciata dei tre uffici ministeriali trasferiti e Monza e chiusi, con pietosa decenza, dal governo Monti.
I sondaggi dicono che la Lega, nonostante tutto, regge ancora. Ma la Lega non c’è più, si sta dissolvendo. Il passo indietro di Berlusconi mette in imbarazzo Bossi, la cui parabola politica è finita da un pezzo. D’altra parte, una leadership di Maroni scatenerebbe una guerra interna fra gli altri caporioni. E poi, che cosa andranno a raccontare la prossima volta agli elettori Bossi o Maroni? Che vanno a Roma da soli, o magari alleati ad Alfano, per portare a casa un federalismo mai pervenuto in dieci anni di governo con Berlusconi? Mi sbaglierò, ma la Lega rischia davvero la stessa fine del Psi di Craxi. E, anche stavolta, senza nessun rimpianto.

Curzio Maltese

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