Meno compiti a casa, il ministro: «Perché no»

In Francia è battaglia sui compiti a casa. La Fcpe (Fédération des Conseils de Parents d’Elèves) e l’Icem-Pédagogie Freinet (Institut Coopératif de l’École Moderne) hanno lanciato un appello a insegnanti e genitori per organizzare due settimane senza compiti a casa, e insieme immaginare altri modi per comunicare il lavoro fatto in classe.






E fa discutere anche in Italia la proposta sull’opportunità di ridurre il lavoro a casa degli studenti, in concomitanza di casi particolari, come le vacanze. Un’ipotesi che non vede contrario il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, ma che secondo il rappresentante dei presidi, Giorgio Rembado, andrebbe modulata a seconda dell’età e del tipo di studi dei ragazzi. Studenti che certo sono tra i più favorevoli all’eliminazione degli odiati compiti, anche se poi rischiano di dover recuperare faticosamente il terreno eventualmente perso. Come favorevoli ci sono anche le famiglie che chiedono però al ministero di parlarne insieme prima di prendere decisioni.
«Credo che oggi nella scuola i nostri ragazzi - ha dichiarato il ministro commentando il dibattito aperto in Francia dopo la «rivolta» dei genitori delle elementari - imparino solo una parte delle loro competenze. Molti input arrivano da altre sorgenti. Se quei 15 giorni di pausa (proposti dai genitori d’Oltralpe, ndr) fossero utilizzati per rafforzare altri canali, perché no? Meno compiti di tipo tradizionale - ha aggiunto Profumo intervenendo oggi a SkyTg24 Pomeriggio - ma si possono dare stimoli agli studenti senza che questi siano formalmente compiti».
«Io - ha aggiunto Profumo - facevo una scuola ancora molto tradizionale: c’era un rapporto molto più diretto tra studente e scuola, ma oggi sono cambiati i contorni e possiamo cambiare anche le relazioni».
Il problema, sottolinea Rembado, è che se si sceglie un modello «full time», di maggiore impegno nelle aule scolastiche e quindi di riduzione del carico del lavoro di tipo scolastico a casa, si deve però tenere conto della necessità di maggiori investimenti.
Rispetto al tema compiti sì o no, secondo Rembado «la questione in questi termini mi pare un po’ malposta in quanto la situazione cambia molto a seconda di due variabili: l’età dell’alunno in formazione e la tipologia istituto scolastico».
Passando dalla scuola primaria agli ultimi anni della secondaria, infatti, il discorso cambia e se per i più piccoli l’apprendimento si può esaurire nell’ambito della mura scolastiche per i più grandi questo è «difficilmente perseguibile. Ci sono indirizzi che richiedono uno studio personale di riflessione - ha spiegato - mentre altri tipi di istruzione superiore hanno invece una prevalente vocazione laboratoriale».
Il riferimento di Rembado è agli studi di tipo umanistico per i quali ad esempio la «fase di lettura, di riflessione, di elaborazione è inevitabile», mentre per esempio per l’alberghiero «l’apprendimento si svolge in prevalenza nei laboratori della scuola».
Il presidente dell’Associazione italiana genitori (Age), Davide Guarneri, guarda con favore all’apertura del ministro Profumo. Ma perché l’iniziativa vada a regime non servono «nuove norme», l’«importante» è che «Profumo inviti scuole e famiglie ad aprire un dialogo educativo».
«È una vera risorsa - dice Guarneri - discutendone insieme si potrebbe anche arrivare a soluzioni personalizzate per gli alunni, a seconda delle loro esigenze e attitudini». Leggere, ripetere le tabelline e scrivere qualche frase, al di fuori dell’orario scolastico, non sono attività malviste dall’Age. «Ma solo se i bambini sono rimasti a scuola 24 ore e non 40», conclude Guarneri.


Fonte articolo: Il Secolo XIX