Una nuova primavera per la scuola pubblica

Gridare insieme rende l’urlo più forte. Ed è così che durante lo scorso fine settimana, a Bologna e in molte città italiane genitori, insegnanti, studenti e ricercatori dei luoghi più diversi d’Italia hanno dato vita ad una convincente mobilitazione, interessante per qualità e quantità, che ci dice che qualcosa (forse) sta cambiando. Leggete le parole di quell’urlo






Sono stati creati per l’occasione un’associazione con l’ambizione di raccogliere le idee e le energie di tanta parte del mondo della scuola che oggi si trova a battersi in condizioni di solitudine, impotenza e separatezza. Sono al VI ministro (Berlinguer, De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini, Profumo) nel corso della mia vita professionale. Conosco tanti che ne hanno intercettati alcuni di più (fino al punto da averne probabilmente dimenticati persino i nomi) e che, nonostante ciò, continuano (continuiamo) a credere che valga la pena battersi per la scuola della Costituzione, la scuola dello Stato. Lo facciamo quotidianamente nelle nostre scuole e nelle aule delle nostre scuole; lo facciamo (lo abbiamo fatto) fuori, nell’esercizio quotidiano di cittadinanza consapevole; lo facciamo (lo abbiamo fatto) nelle piazza delle manifestazioni che negli ultimi 15 anni hanno costellato la nostra esistenza: tante, partecipate, povere, disertate, oceaniche (ricordate il 30 ottobre 2008, a Roma?), ristrette ma significative, deludenti, entusiasmanti.

Una giornata di mobilitazione generale e nazionale come quella promossa dall’Urlo della Scuola non può che riaccendere la speranza, rinfocolare la convinzione. Il sito dell’Urlo ha raggiunto negli ultimi 10 giorni 61mila accessi e 16.500 visitatori. Le adesioni individuali sono state oltre 2600, 280 quelle collettive. Il mondo della cultura ha risposto in maniera massiccia, in una rinnovata alleanza che negli ultimi anni ha lasciato un po’ a desiderare.

Le iniziative sono state molte, con contributi a cura degli stessi partecipanti che potranno direttamente essere visionati sul sito. Il 23 si è tenuta a Bologna, la città centro nevralgico della protesta, la Convenzione nazionale per la Scuola Bene comune: pubblica, capace, accogliente; che ha pubblicato una Carta dell’Urlo. Un documento prezioso e integralmente condivisibile, leggere il quale ci ricorda tristemente come anni di usura della democrazia e di disattenzione al dettato costituzionale abbiano reso alcuni principi enunciazioni formali disattese continuamente dalla pratica quotidiana. Con maggiore forza, allora, è il caso di rilanciare quei principi, di ribadirli, di rinfrescarli nelle memorie, nelle pratiche, nelle aspettative per un futuro di civiltà e di equità.

1. La scuola pubblica statale è un bene comune, come l’acqua.
Quello dei beni comuni è uno dei temi più qualificati del dibattito democratico attuale, per quanto riguarda le risorse non solo materiali ma anche immateriali che riguardano l’intera umanità. È bene comune ciò che la comunità considera strumento indispensabile alla vita biologica, psichica, morale e culturale e quindi diritto inalienabile, occasione di crescita e di inclusione a cui tutti devono avere accesso e che non può essere negato a nessuno, per nessuna ragione. L’essere bene comune della scuola è, insomma, ciò che la qualifica e nello stesso tempo la fonda per garantire a tutti e a ciascuno cittadinanza piena ed equa.

2. La scuola pubblica statale è il primo e massimo presidio democratico in grado di assicurare uguaglianza di opportunità nella formazione delle nuove generazioni. E’ la condizione essenziale affinché cittadini consapevoli, competenti e coscienti dei propri diritti e dei propri doveri possano confrontarsi alla pari con le migliori tradizioni formative internazionali ed essere protagonisti domani di una civile, intelligente “nuova primavera” della comunità globale.
Si tratta di una affermazione con una forte e legittima componente ideale, sormontata da un’esperienza concreta che sta – anno dopo anno – annacquando principi costituzionali a piccoli, inesorabili, miratissimi colpi. Nessuno ha il coraggio di affermare esplicitamente che deve esistere una scuola di serie A e una di seri B (e C…); né di rappresentare verbalmente, legittimandolo, ciò che da tempo ormai è sotto i nostri occhi: la scuola non è più l’ascensore sociale che la Costituzione mirabilmente rappresenta; ma – paradossalmente – sta diventando sempre più lo strumento di immobilizzazione dei destini sociali: la nascita è ancora una volta e sempre di più l’elemento in base al quale si determina il futuro dell’individuo. Atroce notare dunque come il luogo della “rimozione degli ostacoli” – la scuola dello Stato e della Costituzione - si sia negli ultimi anni resa complice (grazie al neoliberismo egemone e alla perdita di senso di quei principi) della cristallizzazione delle esistenze a seconda della provenienza socio-economica.

3. L’inequivocabile processo di privatizzazione della scuola pubblica statale è inaccettabile. I presagi di Piero Calamandrei stanno diventando realtà. Già oggi non una sola scuola sarebbe in grado di aprire i battenti senza i contributi “volontari” delle famiglie. La Convenzione insieme alla Costituzione considera tale processo anticostituzionale a partire dagli art. 3, 33 e 34 della nostra Carta Fondamentale, i quali disegnano una scuola dell’obbligo pubblica, laica e gratuita.

4. Il sostegno finanziario statale alle scuole paritarie private è anticostituzionale. La Convenzione chiede la soppressione della Legge 10 marzo 2000, n. 62 che da anni aggira furbescamente il dettato dell’art 33 della Costituzione: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
La legge 62/00 – la legge della parità scolastica, uno degli errori (o delle strategie?) del centrosinistra – oltre a violare il principio della laicità e il dettato costituzionale del “senza oneri per lo Stato” ha dato la stura (tra le numerose, negative conseguenze) ad una progressiva estensione di una contribuzione (eufemisticamente chiamata “volontaria”) da parte delle famiglie che iscrivono i figli alla scuola pubblica. Volontaria, nonostante – appunto – ormai si tratti di un’entrata della quale le scuole non possono fare a meno, affossate come sono da un residuo attivo da parte dello Stato pari a 1,5 mld di euro; dal taglio dei fondi della legge 440/97 (Istituzione del Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi); dal taglio ai finanziamenti agli enti locali, che si riverbera fisiologicamente anche sulla scuola pubblica; dalla sparizione progressiva di posti di lavoro, che spesso richiede alle famiglie uno sforzo economico aggiuntivo per finanziare integrazioni. Iscrivere i propri figli ad una scuola dello Stato piuttosto che ad una scuola paritaria non è e non può essere considerata la stessa cosa. Attraverso l’annullamento di questo enorme divario rischia di passare la dismissione di una serie di principi: stato sociale, laicità, emancipazione garantita a tutti.

5. E’ senza dubbio dimostrata la correlazione fra qualità della formazione e qualità della vita civile, culturale e produttiva di un paese. La Convenzione ritiene che i finanziamenti per la formazione scolastica e universitaria in relazione al Pil debbano essere almeno pari alla spesa media europea e che l’obbligo scolastico debba essere portato a 18 anni di età.
Invece, come dimostrano anno dopo anno una serie di pubblicazioni dell’UE, come dell’OCSE – l’Italia spende il 4.6% contro una media europea del 5.2% del Pil. Senza considerare il fatto che il dato sincronico non tiene conto degli investimenti fatti nel tempo, molto consistenti in alcuni Paesi, che – non paghi – invece di tesaurizzare, continuano a scommettere (anche economicamente) su un futuro di democrazia e di cittadinanza consapevole. La questione dell’obbligo: una scommessa di civiltà perduta. Fioroni diceva, per commentare il mancato innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni, come il governo di cui faceva parte aveva promesso: “Non possiamo mica tenerli dentro [la scuola, ndr] con le catene”. L’infelice affermazione nascondeva una verità: innalzamento dell’obbligo scolastico non può concretizzarsi nella scuola così com’è. Solo una seria riflessione e determinazione del cosa, del come, del perché insegnare e una conseguente reale riforma della scuola può consentire realmente questo traguardo di democrazia e di uguaglianza: tutti dentro la scuola della Costituzione (non, come ora, anche nelle agenzie formative, nell’apprendistato, nella dispersione), possibilmente fino a 18 anni.

6. Gran parte degli edifici scolastici italiani sono inadeguati e insicuri mentre gli insegnanti sono fra i peggio trattati d’Europa. E’ dimostrato da tutte le ricerche internazionali che là dove si garantisce agli insegnanti dignità economica e condizioni di lavoro adeguate, là dove viene privilegiata la relazione tra gli insegnanti e tra insegnanti e studenti, là dove viene privilegiato il percorso di apprendimento, la qualità dell’insegnamento e dei risultati ne trae un sostanziale vantaggio.
È un punto su cui mi sono soffermata varie volte e su cui è però fondamentale continuare ad insistere. Sui salari dei docenti un recente studio di Eurydice ha per l’ennesima volta confermato la triste realtà economica degli insegnanti italiani. Gli edifici scolastici, inoltre, non devono essere solo sicuri, traguardo ancora molto lontano dall’essere raggiunto. Ma devono essere anche accoglienti, dignitosi, per accompagnare il processo di apprendimento con un panorama adeguato in un mondo in cui brutto, kitsch, degrado sono il quotidiano contraltare, al quale siamo ORMAI avvezzi, rispetto al bello effimero cui ammicca l’immaginario collettivo. Pensate che brutto abituarsi al brutto. Pensate a quanto possa essere intrinsecamente deprimente e violento rispetto alla psicologia dei bambini, dei ragazzi, a menti in formazione, a curiosità, fantasie, intuizioni, riflessioni che chiederebbero – per uscire allo scoperto in maniera ottimale – panorami accoglienti. Il non più tanto neo ministro Profumo ha detto che i salari dei docenti sono inadeguati. E sin da novembre ha posto la questione dell’edilizia scolastica al centro delle proprie priorità. Continuiamo ad attendere.

7. E’ proprio nei momenti di crisi che paesi più lungimiranti del nostro per essere credibili, per attrarre investimenti, per progredire, per fare innovazione e depositare brevetti internazionali, per trattenere i migliori cervelli, investono in formazione scolastica, università e ricerca. Si auspica che l’Italia diventi un Paese lungimirante. La Convenzione chiede alla Politica di considerare la formazione scolastica non una spesa sociale ma un investimento strategico per il futuro del Paese e delle persone che lo abitano oggi, come per quelle che lo abiteranno domani.
Ancor più significativa, questa richiesta, in chiave di un’interpretazione lungimirante della scuola (e della società) multietnica verso la quale ci stiamo incamminando. Investimento strategico per il futuro significa prima di tutto attribuire alla scuola il ruolo di primo spazio di democrazia, di cittadinanza, di potenziale emancipazione. Uno spazio tanto più prezioso, in quanto in esso transitano – forse per la prima volta e spesso primi della loro famiglia – bambine e bambini, ragazze e ragazzi che saranno gli italiani di domani. Garantire loro attenzione, cura, competenze, cultura significa garantire al nostro (e al loro) Paese un futuro di potenziale libertà, civiltà, democrazia effettiva. Viceversa, la creazione – ancora una volta soprattutto ai danni dei più deboli, che non sono in grado di vicariare la scuola – di una dimensione minimale di sviluppo della cittadinanza attraverso l’istruzione e l’educazione è quanto ha caratterizzato le politiche scolastiche degli anni più recenti.

8. Due leggi di iniziativa popolare sostenute dalle firme di centinaia di migliaia di cittadini giacciono ignorate nei cassetti polverosi del Parlamento: “Per una buona scuola per la Repubblica” e “Tutela, governo e gestione pubblica delle acque”. Le due Leggi propongono un’idea organica di governo di due beni comuni cruciali per il benessere sociale: il sistema scolastico e le risorse idriche. Ci chiediamo e chiediamo, è accettabile che la partecipazione popolare alla formazione delle leggi – prevista dalla Costituzione – sia a tal punto svilita da restare senza ascolto e senza risposta? La Convenzione chiede che le due proposte di legge vengano immediatamente messe in discussione in Parlamento con il coinvolgimento dei due Comitati Promotori. Si propone infine di intraprendere un’azione comune per dare concretezza alle due proposte di legge.

9. La Convenzione, consapevole dell’esperienza maturata in tatti anni di governi e di politiche miopi e senza visione, si impegna in modo solenne ad opporsi con determinazione ad ogni tentativo di demolizione, impoverimento indebolimento dei principi e delle condizioni indicate in questo decalogo.

10. Per diffondere e sostenere questi principi essenziali la Convenzione, oggi 24 marzo 2012, decide di offrire una casa comune, un’Associazione diffusa, denominata “una nuova primavera per la scuola pubblica”; di dotarsi di una mailing list nazionale, denominata “la rete dei sensibili” e di un “quaderno di lavoro” pubblico accessibile dalla rete. Strumenti di lavoro utili per discutere, proporre, interrogarsi sul “che fare” per l’istruzione pubblica oggi domani e dopodomani. Infine si propone di rendere permanente la “Convenzione nazionale per la scuola Bene Comune.

Buon lavoro. E grazie.

Marina Boscaino

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