Concorsi a scuola meno anzianità e più merito

ANDREA GAVOSTO*

Caro direttore, alla fine del 2011 il ministro Profumo ha promesso nuovi concorsi per insegnanti, suscitando speranze nella scuola italiana. La prima è di ritornare, dopo tredici anni, a una situazione di «normalità» nelle procedure di assunzione in ruolo del personale docente (e la normalità già sarebbe una rivoluzione). La seconda è di cominciare a smantellare sul serio, e non soltanto a parole, il macchinoso e iniquo meccanismo delle graduatorie degli insegnanti precari (oggi dette «ad esaurimento»), fondate sul principio dell’anzianità di servizio, che in questi anni hanno di fatto sostituito i concorsi come unica porta di ingresso nella nostra scuola, creando lunghe code. La terza speranza, forse la più importante, è di ringiovanire il corpo docente. Oggi in Italia gli insegnanti con meno di 30 anni non raggiungono in nessun grado di scuola l’1%, contro medie Ocse fra il 10 e il 15%: bisogna rendere l’insegnamento di nuovo appetibile ai giovani laureati più brillanti ed evitare il danno irreparabile che - nella scuola non meno che in altri ambiti della società italiana - potrebbe scaturire dall’esclusione di una o più generazioni.

A sei mesi di distanza dall’annuncio del ministro, è giusto chiedersi: a che punto siamo? Sui primi due punti - normalizzazione e graduatorie - qualche passo in avanti è stato fatto, sebbene il susseguirsi di dichiarazioni da viale Trastevere non sempre giovi alla chiarezza. Il ritorno dei concorsi ordinari - pare ve ne saranno due nei prossimi due anni - avrebbe sulla carta il pregio di mettere tutti i partecipanti sullo stesso piano, a condizione che a contare siano soprattutto le prove d’esame, non i titoli o l’anzianità. Va detto, però, che la tradizionale procedura concorsuale mal si coniuga con il nuovo modello di formazione iniziale degli insegnanti. Varato nel 2010, questo si fonda sull’idea di programmare in base ai fabbisogni delle scuole e ai trend di pensionamento il flusso dei nuovi docenti, preparandoli con uno specifico percorso universitario a numero chiuso, seguito da un tirocinio formativo sul campo: chi completerà entrambi con successo avrà un’elevata probabilità di trovare impiego. Nel nuovo regolamento di formazione iniziale la selezione avviene quindi all’ingresso, mentre nel modello fondato sul concorso ordinario, oggi riproposto dal Ministro, questa è alla fine, fra soggetti con percorsi formativi anche molto diversi fra loro: un’incongruenza che andrà risolta, altrimenti avremo creato un mostro a due teste.

Per quanto riguarda la progressiva abolizione delle graduatorie, il ministero ha affermato che d’ora in poi l’abilitazione all’insegnamento non significherà più automatico diritto al posto. Un impegno importante, perché nega l’insensato principio che ha retto in questi anni il reclutamento degli insegnanti: magari dopo molti anni, ma prima o poi di sicuro arrivava il proprio turno.

È purtroppo sulla riapertura delle porte della scuola ai giovani insegnanti che non si vedono, invece, progressi. Il primo dei due concorsi è riservato a quanti già oggi sono in possesso di abilitazione: chi si è appena laureato ovviamente non può averla. Al secondo concorso i neolaureati potranno formalmente accedere abilitandosi con un anno di tirocinio formativo; saranno, però, in numero esiguo, perché lo stesso potranno fare molte altre categorie di candidati. Per chiarire con una battuta: anche chi scrive, che mai ha insegnato a scuola e giovane può dirsi solo di spirito, avrebbe i titoli per accedere alla selezione per il tirocinio formativo. Non ha senso. E ancora meno senso ed equità ha l’idea, ventilata dal ministero, di permettere un accesso con diversi gradi di difficoltà: giustamente severo per i nuovi laureati, incomprensibilmente più agevole per chi, ad esempio, ha accumulato tre anni di esperienza, anche con supplenze saltuarie, ma la cui preparazione non è mai stata verificata (e sarebbero oltre 55.000).

In conclusione: rischiamo ancora una volta di avere migliaia di candidati che diventeranno insegnanti di ruolo percorrendo vie basate più sull’anzianità di servizio che sul merito, creando un blocco insuperabile per i giovani neolaureati che vogliano intraprendere questa bella e fondamentale professione.

*Direttore della Fondazione Giovanni Agnelli

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