La campanella non suona per loro

di Elasti - D di Repubblica - 19 maggio 2012 - pag. 40

È una mattina uggiosa di un giorno feriale, in un parco cittadino. "Che tristezza. Non c'è nessuno", dice Erika. Già, non c'è nessuno. Del resto i bambini a quest'ora sono tutti a scuola, o all'asilo. No, non proprio tutti. I figli di Erika no. Loro, a scuola, non ci vanno e al momento sono i padroni assoluti e solitari dello scivolo e delle altalene. Erika e Matteo, suo marito, hanno deciso di non mandare i loro quattro figli a scuola e di occuparsi personalmente della loro educazione. Si chiama homeschooling o scuola familiare, si è diffuso a partire dagli anni 70 negli Stati Uniti, dove ha suscitato ampi dibattiti e dove, oggi, conta oltre 1,5 milioni di studenti, pari a circa il 3% del totale.
La legislazione italiana prevede l'istruzione obbligatoria ma lascia libertà di scelta sulle modalità con cui assolvere tale obbligo.
"In base all'articolo 30 della Costituzione "È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli". Noi ci siamo riappropriati di quel diritto, pensiamo che la crescita dei nostri bambini sia affar nostro", spiega Erika che ha 32 anni, i ricci, gli occhi verdi e l'inossidabile e intimidente sicurezza di chi è abituato a nuotare controcorrente. Thomas, sette anni, le lentiggini e la responsabilità di essere il primo di quattro, la mattina si sveglia senza sveglia, con il sole - presto d'estate, più tardi d'inverno - e, insieme a Olivia (5), Nicholas (3) e Benjamin (1 mese), scopre il mondo sotto la guida della mamma, che, laureata in Lingue, faceva l'insegnante e oggi, oltre a occuparsi dei bambini, è autrice del sito http://www.educazioneparentale.org/ e del blog www.controscuola.it, creati per fornire informazioni e occasioni di aggregazione per famiglie interessate allo homeschooling.
Thomas e i suoi fratelli imparano i numeri relativi scendendo al piano "meno uno" del supermercato, studiano la geografia guardando da dove vengono i cibi che mangiano, scrivono in corsivo copiando le firme eleganti dei grandi. "Io ho optato per l'unschooling, che è un metodo educativo che segue le richieste e le curiosità dei bambini", spiega Erika, mentre allatta Benjamin e offre ai grandi una merenda rigorosamente biologica, senza zucchero e fatta in casa.
Mi domando se la curiosità di un bambino arriva fino all'Atene di Pericle, al trapassato remoto di sedersi o al teorema di Pitagora, ma non chiedo.
Perché oggi circa 200 famiglie in Italia decidono di assumersi l'onere e la responsabilità di provvedere autonomamente all'istruzione dei figli?
"Per evitare il bullismo, per motivi religiosi, di salute, di apprendimento, per necessità di spostarsi spesso. Le ragioni sono tante quante le famiglie. Inoltre la scuola familiare consente un rapporto alunno/insegnante molto inferiore a quello del sistema scolastico tradizionale", afferma Erika, convinta che, con un'organizzazione efficiente, anche un genitore lavoratore a tempo pieno può scegliere l'homeschooling, concentrando nei fine settimana l'istruzione dei figli. "È un'alternativa possibile, una scelta di libertà ben più facile di quanto si pensi".
I fratelli giocano tra loro. La scuola familiare non priva Thomas, Olivia, Nicholas e, un giorno, anche Benjamin della socialità, della condivisione, del senso di appartenenza ad un gruppo, spesso fonte di orgoglio e sicurezza?
"Quella della scuola tradizionale è una finta socializzazione, coatta e controllata. I bambini educati a casa vengono in contatto con la società e interagiscono con essa in prima persona, liberamente". I figli di Erika socializzano al parco, al corso di karaté e di breakdance nel pomeriggio, durante la loro esplorazione del mondo con la mamma. Osservo il loro sguardo vorace, le loro lentiggini, la loro serenità. Osservo lei, sorridente, determinata, felice della possibilità che si è data e che ha dato loro, certa che sia la migliore.
Ha cominciato a piovere sul parco deserto. Torniamo a casa, o a scuola, che per qualcuno è lo stesso.