Bertagna: il concorso? "Quizzomania" centralista


Il concorso indetto da Profumo è la peggiore operazione di politica scolastica che abbia segnato gli ultimi anni, basata su centralismo e disprezzo del merito


di Giuseppe Bertagna - 27 settembre 2012


CONCORSO SCUOLA. Caro direttore, una risata seppellirà  tutte queste procedure concorsuali di finta efficienza tecnico-scientifica, con tanto di «postazioni informatiche» per le prove definite con snobismo anglofilo «computer based»,  destinate ad un target di concorrenti costituito da 180mila iscritti alle graduatorie permanenti, 300mila non abilitati in terza fascia e qualche decina di migliaia di diplomati e laureati prima del fatidico anno 2001-2002. 
Una risata seppellirà  queste procedure tipiche di uno smodato costruttivismo ideologico, ma che una retorica ben orchestrata e ingannevole, degna di altri tempi, ha addirittura spacciato per «svolte epocali», «primato della selezione per merito», «attenzione ai giovani». In realtà , sono soltanto il tradizionale e meno commendevole frutto dell'infrangibile alleanza conservatrice stipulata da cinquant'anni a questa parte tra una burocrazia statale centralistica tanto più invasiva quanto sempre più incompetente e una burocrazia sindacale che ne ha copiato, quasi a ulteriore prova dell'esistenza dei neuroni specchio, le tristi caratteristiche.


  
Una risata seppellirà  queste procedure perché è impossibile che, tra le norme esplicite e implicite che le governano, non si nascondano imprevisti che beffino anche le più panoptiche attenzioni amministrative. E poi anche perché è impossibile che tra le centinaia di migliaia di persone e di situazioni, dalle Alpi al Lilibeo, che devono esecutivamente applicarle allo stesso modo in ambienti tra loro molto diversi non affiorino smagliature censurabili e palesi difformità  di trattamento. 
Non sono bastate evidentemente al ministero le incredibili brutte figure (ma si tratta di eufemismo!)  rimediate sulla prova preselettiva del concorso a dirigenti scolastici, sul concorso a dirigenti scolastici della Sicilia prima e della Lombardia poi, quindi sulle prove preselettive per il Tfa e sulle prove di ammissione alle facoltà  mediche per persuaderlo a riflettere in modo meno propagandistico e opportunistico sul valore e sul significato della quizzomania centralistica deflagrata come un virus molto aggressivo tra Frascati e viale Trastevere.
No, al contrario, una singolare coazione a ripetere compulsivamente percorsi che mass media disattenti o, peggio, complici non avrebbero mai perdonato a nessun'altro. Del resto, perché non perseverare nell'ostinazione ammantata perfino di profetismo escatologico se nessuno dei responsabili delle brutte figure collezionate è mai stato chiamato a pagare alcunché? Anzi ha ricevuto premi incentivanti e avanzamenti di carriera? E pensare che centinaia di migliaia di persone, illuse dalla lotteria di un posto, sull'onda di uno Stato purtroppo abituato a fare il biscazziere, in piena crisi economica, hanno speso parecchie migliaia di euro in corsi, corsetti in presenza e a distanza, libri, e-book più o meno speculativi,  tutti alle prese con quesiti che, perlopiù, non hanno nemmeno la dignità  di quelli della patente.
Purtroppo, però, come ci ha insegnato una certa biografia di Democrito, oppure il Pulci e Rabelais, di riso si può anche dolorosamente lacrimare e infine morire. E questo non sarebbe certo bene per nessuno. Non resta che augurarsi, perciò, che questa ineffabile procedura concorsuale salutata come l’avvio di una nuova era giunga alla sua conclusione senza che nessun giudice amministrativo abbia nulla da ridire e senza che tutti i candidati abbiano nulla da rimproverare a chi l’ha decisa e condotta. Ma sarebbe proprio a questo punto, purtroppo, che nascerebbero i problemi più seri. 
Il primo è rappresentato dal messaggio complessivo che l’operazione, andata a buon fine, finirebbe per comportare. È dal 1974 che la pedagogia si sbraccia per collegare la formazione iniziale, la selezione e il reclutamento di docenti seri e preparati grazie ad una sinergia tra università e scuole. È dallo stesso anno che le scienze dell’educazione ribadiscono che non si può ridurre la professionalità del docente né alla pur necessaria padronanza delle conoscenze disciplinari né, ancor meno, alla bravura con cui svolgere un tema o, peggio, rispondere in 50 minuti a 50 quiz con quattro opzioni di risposta ciascuno (18 di logica, 18 di comprensione del testo, 7 di competenze digitali e 7 di lingua straniera) scelti, nel caso specifico del bando, a rotazione in modo automatico da 3.500 domande, che saranno rese note tre settimane prima. 
La professionalità docente deve misurarsi, da un lato, sulla combinazione di conoscenze disciplinari e competenze pedagogico didattiche e relazionali per affrontare «casi» e, dall’altro lato, sulla reale dimostrazione di insegnare bene, agendo in situazione, in una classe, in una scuola, in un territorio, dimostrando di saperci riflettere sopra con adeguati strumenti critici intersoggettivamente controllabili. Che poi, tradotto, significa: abilitazione all’insegnamento ottenuta in specifici percorsi di laurea che coinvolgono insieme le università e le scuole; selezione e reclutamento degli abilitati condotta poi attraverso procedure di scuola o di reti di scuole territoriali, coinvolgendo anche competenze universitarie. Come si era cominciato a fare, del resto, dal 1999 al 2006, prima con le Siss, quindi con le proposte di lauree magistrali per insegnamento. E come, in fondo, si è ribadito di voler continuare a fare, nonostante tutti i limiti della nuova normativa, con i recenti Tfa. 
D’un tratto, invece, è come se tutto questo percorso e queste consapevolezze così faticosamente maturate non siano mai esistite. Entrare di ruolo nell’immaginario collettivo mass mediale e addirittura professionale, infatti, è tornato a diventare questione di quiz casuali e di temini più o meno svolti, corretti da commissioni stanche e mal pagate che operano con tutte le iniquità che le ricerche docimologiche degli ultimi cento anni hanno dimostrato insuperabili. In poche ore e con prove che valutano tutt’altro si decide insomma il futuro di una vita e la qualità di una professione al contrario complessa in profondità e longitudinalità. E si chiama tutto questo selezione per merito e premio all’eccellenza. 
Ma ammettiamo pure che i quiz, i quesiti a risposta aperta e le prove orali previste dall’attuale procedura concorsuale fossero il meglio oggi immaginabile per smuovere una cancrena costruita da decenni di politiche consociative del personale che gridano vendetta al cospetto del buon senso. Anche in questo caso, tuttavia, non si possono tacere alcune osservazioni.
Le graduatorie degli abilitati sono, appunto, graduatorie. Dovrebbero ordinare una classifica dal migliore al peggiore abilitato all’insegnamento. Ora, se per valorizzare il merito di questi abilitati si deve organizzare il concorso bandito significa, in realtà, che le graduatorie sono inaffidabili: non restituiscono affatto il merito degli inseriti. Ma allora perché non cancellarle e ritenerle ancora valide per l’immissione in ruolo di chi non supera il concorso?
Ma c’è di più. A questo concorso accedono non soltanto abilitati evidentemente ordinati in graduatorie giudicate improbabili e casuali dagli stessi che le hanno compilate, ma pure non abilitati che si sono laureati o diplomati fino al 2002. La procedura quindi è anche abilitante, per i vincitori. Ne consegue che gli attuali abilitati in graduatoria che risulteranno vincitori del concorso dovranno ammettere che potevano anche fare a meno di seguire percorsi formativi post laurea e post diploma molto complessi e impegnativi. E soprattutto dovranno riconoscere che la professionalità docente dipende solo dagli anni nei quali si è acquisito un titolo di studio, non dalle reali competenze professionali possedute e dimostrate. Per chi ha fatto della qualità e del merito la propria parola d’ordine la circostanza dovrebbe essere perlomeno imbarazzante. 
Infine, perché un concorso di questo tipo dovrebbe essere più affidabile di una procedura concorsuale articolata svolta a livello di scuole e di reti di scuole, su posti reali e non astratti?  Solo perché è centralista e ha del decentramento una concezione emanazionista di tipo plotiniano? Ma non è proprio questo il problema del nostro sistema di istruzione?  
Insomma, c’erano tutti gli spazi per procedere a modifiche legislative che avrebbero potuto dare una svolta autentica al tema della selezione e della qualità del reclutamento dei docenti. Bastava prendere sul serio la proposta di legge Aprea. O almeno l’iniziativa legislativa della Regione Lombardia in tema di reclutamento. Non lo si è voluto fare. Si è preferito spacciare il vecchio iniquo per un nuovo equo. Si abbia almeno il pudore di non esserne orgogliosi. E adesso di riparare.