IL LICEO BREVE. IL MINISTRO GELMINI PENSA A COME CAMBIARLO, I PROF LO DIFENDONO

di Jenner Meletti - La Repubblica – 17 settembre 2008

MODENA - I bulli sono arrivati anche qui, nel liceo - mito. In una notte di maggio hanno incendiato arredi e computer dell´aula riservata agli studenti disabili. «Non abbiamo mai saputo da dove venissero, quei disgraziati. Non possiamo credere che fossero nostri studenti». 
Il liceo Ludovico Antonio Muratori, in cemento armato, sembra una fortezza: una delle 466 cittadelle chiamate liceo classico che ogni mattina aprono i loro portoni in Italia, assieme ai loro cugini, gli 864 licei scientifici. 

La bufera alla quale debbono resistere oggi non si chiama bullismo, ma ministro Mariastella Gelmini, che ogni giorno annuncia le riforme fatte con l´accetta. 
«La scuola è sempre pubblica, anche quella che non è gestita dallo Stato. Non tutti i ragazzi debbono necessariamente iscriversi al liceo classico o scientifico». Ci sono i manifesti dei sindacati, nell´atrio del liceo. I professori sono solidali con le maestre che si sono presentate in classe con il lutto al braccio. Hanno paura che riforme improvvisate annullino decenni di lavoro. «Stiamo valutando di ridurre le ore settimanali nelle superiori», ha ribadito il ministro. Dai licei potrebbe sparire un anno, il 20% del sapere trasmesso andrebbe al macero. 

Sui muri del Muratori non c´è nessuna scritta. «Solo tre anni fa ne è apparsa una: "Lasciate ogni speranza voi ch´entrate"». Durante la ricreazione i ragazzi parlano sottovoce. «Noi cerchiamo - dice la preside Rossella Bertoni - di insegnare anche la buona educazione. Qui ci sono 800 studenti e 80 professori. Se tutti urlassimo? Il classico forse resta un´isola felice: qui arrivano ragazze e ragazzi che hanno davvero voglia di studiare. Noi cerchiamo di dare loro quel bagaglio di interessi, di curiosità e di cultura che sarà utile per tutta la vita. Non è vero che al liceo si studiano cose vecchie e inutili come il greco e il latino: si impara ad usare il libero arbitrio, si accresce lo spirito critico. Ma tutto questo, in una società che vuole sempre qualcosa da spendere subito, non sempre è compreso. La scuola non è un supermercato». 

I licei classici sono ancora luogo di eccellenza? «Sì - dice subito Giorgio Rembado, presidente nazionale dell´associazione presidi - lo sono. E non lo diciamo noi addetti al lavori. Basta guardare i dati Ocse e Pisa, che mettono le nostre scuole superiori al di sotto della media europea ma per i licei fanno un´eccezione, rilevando una loro posizione superiore nella media nazionale». Entrare in un liceo è come viaggiare con la macchina del tempo. «Rosae, rosarum, rosis, rosas, rosae?». I «primini» imparano le declinazioni latine a memoria, così come i loro padri e i loro nonni. I muri non sono più quelli dei nonni, a lezione nell´antico collegio dei gesuiti, ma l´atmosfera sembra intatta. «Lo spirito critico - dice la preside - è ormai merce rara. Si conquista con un lavoro paziente, profondo. Si studia non solo per imparare a fare ma per se stessi, per mettere dentro una cultura ampia e profonda». 





Nel 1859, quando il collegio dei gesuiti divenne Regio Liceo L. A. Muratori, gli iscritti al ginnasio era 100 e gli alunni del liceo 120. Negli anni ?70 il numero complessivo è salito a 600. «Noi oggi abbiamo 800 allievi perché per tanti ragazzi, e per le loro famiglie, non c´è più l´angoscia di dovere arrivare presto al diploma per andare subito a lavorare. Le scelte si fanno sempre più tardi e il classico è la scuola che lascia aperte tutte le porte. Non rilasciando nessuna abilitazione professionale, la strada verso l´università è obbligata. Tanto vale prepararsi bene». 

La professoressa Roberta Cavazzuti (italiano e latino) è appena uscita da una lezione in una prima liceo. «Io penso - dice - che la cultura conquistata con impegno e fatica, ma anche con felicità, sia la prima difesa contro quelli che io chiamo i barbari specializzati. Sanno tutto su una realtà particolare ma non hanno una cultura degna di questo nome. Non ricordano un libro letto per passione». Raccontano, la preside e la professoressa, che in questa scuola che cambia un pilastro è rimasto: il rigore. «Lo chiediamo a noi insegnanti e lo chiediamo ai ragazzi. Non disperatevi per il primo quattro in greco ma sappiate che la sufficienza va conquistata con un solo mezzo: lo studio. Noi che siamo state allieve del Muratori prima che professoresse, all´esame di terza media sapevamo il "De bello gallico" quasi a memoria. Dal 1977 in poi il latino è scomparso del tutto dalle medie. Il rigore è necessario perché dobbiamo insegnare in cinque anni ciò che prima si imparava in otto, con "rosa rosae" in prima media». 

Il rigore, un tempo, voleva dire anche selezione pesante. «Quando ho cominciato io, nel 1965 - dice Roberta Cavazzuti - il ginnasio era un corso di sopravvivenza. Su 32 alunni, 11 bocciati al primo anno, 6 promossi e gli altri rimandati. Settantotto frasi di latino da tradurre da un giorno all´altro, le interrogazioni fatte con i bigliettini tirati a sorte come alla tombola e dovevi essere sempre preparato su ogni materia». L´anno scorso ci sono stati solo 34 bocciati. Per 120 «sospensione del giudizio» in attesa dei nuovi esami di riparazione. A settembre solo 4 sono stati bocciati. «Non siamo diventati troppo buoni e nemmeno troppo bravi. Oggi c´è un´autoselezione degli studenti che iniziano il liceo, più motivati rispetto ad altri, e c´è una scuola come la nostra che, nel corso dell´anno, ha offerto a chi era in difficoltà 1.000 ore di recupero, al pomeriggio, con gli stessi docenti del mattino». 

Anche nella scuola c´è chi però vuole cambiare. «I curricoli - dice Luigi Affronti, preside del liceo Vittorio Emanuele II di Palermo - risalgono al 1952. Bisogna sfoltire tante inutili sperimentazioni. E bisogna cambiare anche certe metodologie di insegnamento troppo tradizionali. L´età media degli insegnanti è elevata anche perché tanti arrivano al classico a fine carriera». In questi decenni, al Muratori, è stata formata comunque la classe dirigente. «Quando sono entrato io, prima ginnasio nel 1964 - racconta il sindaco Giorgio Pighi - noi ragazzi avevamo giacca e cravatta e le ragazze il grembiule nero. 

La ricetta era semplice: o studiavi o studiavi. Chiamarla scuola della classe dirigente è un eufemismo: quella era una scuola di classe. Ma già nei miei anni la crescita sociale si stava trasformando in crescita individuale. Gianluigi Melotti era figlio di un operaio Fiat ed è diventato un luminare della medicina. Tutti noi, dopo il liceo, abbiamo fatto l´università. Ci sono due o tre avvocati come me, otto insegnanti, quattro medici, due ingegneri e architetti? La selezione, nella mia classe, non è stata pesante: ci avevano già falcidiato alle medie». 

La sede antica del centro, con i due ingressi per maschi e femmine (che poi si trovavano nelle classi miste) è stata lasciata nel 1970. La storia del Muratori, scuola laica, è antica come quella del San Carlo, altro classico, «Liceo per Nobili». I «muratoriani» per decenni hanno preso in giro i colleghi: «Liceum San Carlorum / refugium asinorum». 
C´è una grande nostalgia, negli ex allievi diventati importanti. Ermanno Gorrieri, l´inventore del welfare italiano, ha ricordato - in un volume con la storia del liceo - che suo padre, coltivatore diretto, nei documenti di iscrizione del figlio fece scrivere «possidente». Contadino non andava bene, nella scuola della borghesia. Liliana Cavani, la regista, ricorda che, già entrando al scuola, «capivi di essere rispettato». C´è chi non ha potuto iscriversi, come Arrigo Levi, a causa delle leggi razziali del 1938. Guglielmo Zucconi accompagnava gli amici davanti al liceo poi entrava alle Magistrali, perché «a casa mia i sogni volavano bassi». Ci voleva un diploma che permettesse di portare uno stipendio a casa. 

I cinque anni presto potrebbero diventare quattro. «Non vedo perché - dice la preside modenese - si debba cambiare una scuola che funziona». Anche il presidente nazionale, Giorgio Rembado, ha seri dubbi. «Per ora ho letto solo battute sui giornali. Se la proposta diventasse concreta, farei notare che sarebbe difficile ridurre la durata del liceo e contemporaneamente tagliare il monte ore di insegnamento, il più alto d´Europa. Ci sarebbe una compressione eccessiva. E non si potrebbe chiedere a un liceo le competenze che esigiamo oggi». 

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