Il magistrato Piercamillo
Davigo usa il termine corruzione includendo nel termine la concussione, il
traffico di influenze illecito, il finanziamento illecito ai partiti. Questi
reati sono “il male antico che in Italia mina le fondamenta del vivere civile”
e in particolare, l’Italia è un Paese che non ha i mezzi necessari per farvi
fronte. Essendo un reato seriale e diffusivo, chi infatti si macchia di questo
reato tende sempre a ripeterlo e a coinvolgere i propri vicini fino a renderli
complici e correi, non si capisce come nel Belpaese si possano commettere meno
reati di questo tipo che in Finlandia, uno dei Paesi con l’indice di corruzione
percepita più basso secondo la classifica di Transparency international. I corrotti
in Italia costituiscono un sistema e possono facilmente farla franca. Secondo
Davigo il motivo risiede negli strumenti esigui di limitazione delle libertà
degli indagati. Hanno infatti la possibilità di comunicare fra loro, concordare
le versioni dei fatti e essere o facilmente liberati da ogni carico. O portare
il processo per le lunghe e puntare alla prescrizione. Per Davigo un
passo importante sarebbe quello di cominciare a considerare il reato di
corruzione alla stregua del crimine
organizzato. La struttura di base, infatti, è del tutto simile a quella delle
famiglie che chiedono il pizzo. In questo modo salterebbero tutte le
“chiacchiere sull’abuso della custodia cautelare. Un sistema criminale,
infatti, non si affronta che in un modo: impedendo a chi commette il crimine di
comunicare con gli altri complici, in modo da evitare la sparizione di
documenti, prove e tesi o di concordare versioni”.