Granato (M5S): Dichiarazione di voto sull'abolizione della chiamata diretta



Dichiarazione di voto della prof.ssa. sen. Bianca Laura Granato (M5S) all'atto dell'approvazione in aula al Senato del ddl sull'abolizione della chiamata diretta.

Signor Presidente, oggi, a distanza di quattro anni quasi esatti, siamo qui per assolvere ad un impegno che il MoVimento 5 Stelle ha assunto davanti al mondo della scuola italiana: cancellare il pezzo più vergognoso della legge n. 107 del 2015, beffardamente detta buona scuola, nello specifico la parte che introduceva la chiamata diretta dei docenti e la titolarità sugli ambiti territoriali.
Era il 9 luglio 2015 e con l'approvazione di quella legge la sorte delle scuole italiane era destinata a cambiare in peggio. Da quel momento un docente reclutato o divenuto soprannumerario dopo l'entrata in vigore della buona scuola, infatti, acquisiva non più la titolarità su scuola ma su ambito territoriale. Si apriva per il docente il momento dei casting. Sì, perché da quel momento doveva sottoporsi a dei provini presentando il proprio curriculum alle scuole dove intendeva proporre la propria candidatura, in base ai requisiti richiesti da un bando formulato dal dirigente scolastico. Non solo: stipulava un contratto triennale e rimaneva precario a vita, a dispetto della ingannevole pubblicità che Renzi fece allora sulla garanzia della continuità didattica, mai realizzata.
Ne sanno qualcosa i docenti, mandati in tutta Italia con un algoritmo farlocco, con fenomeni di mobilità in deroga mai visti prima, che da allora ogni anno compromettono gravemente il buon funzionamento delle istituzioni scolastiche, specie del Nord Italia.
La scuola, già minata alle fondamenta nel suo ruolo costituzionale dall'introduzione dell'autonomia scolastica vent'anni fa, diventava così definitivamente un progettificio, orientato dalle scelte didattiche di un dirigente scolastico fuori da ogni controllo gerarchico. Il docente così perdeva quella libertà di insegnamento previsto all'articolo 33 della Costituzione. La didattica curricolare veniva sacrificata al compiacimento delle pretese del dirigente; pretese spesso legate alle esigenze economiche delle scuole per ottenere quei soldi necessari per andare avanti, con cui acquistare un toner o della carta per fotocopie oppure per l'ennesima vetrina.
Chi insegna sa cosa ha portato tutto questo: discipline svuotate a vantaggio di una progettualità estemporanea che sottrae e non conferisce competenze e basi culturali solide a studenti, soggetti in formazione oggi sempre più fragili.
Se qualcuno ha visto i rapporti Invalsi di quest'anno sicuramente può trovare riscontri significativi sugli esiti della buona scuola. L'autonomia scolastica, spinta alle estreme conseguenze della legge n. 107 del 2015, ha aumentato il gap negli apprendimenti degli studenti in base al contesto territoriale di riferimento. Quello che avevamo sempre paventato quando è stato varato il disegno di legge si è realizzato in modo inequivocabile: scuole di serie A e scuole di serie B fanno bella mostra di sé in quelle statistiche. Non era questo quello che volevano i Padri costituenti quando prescrissero l'istituzione di scuole statali di ogni ordine e grado.
La situazione in cui versano le scuole oggi è nota anche a quei genitori attenti che per i loro figli richiedono l'iscrizione in sezioni dove ci sono docenti che lavorano in classe. Si tratta di quei famosi docenti contrastivi, aborriti dai dirigenti: una fattispecie che era destinata all'estinzione perché refrattari alle lusinghe e ai ricatti introdotti dalla citata legge n. 107. Mi riferisco a quei docenti che hanno continuato a tenere in piedi le scuole italiane, marginalizzati per avere una coscienza e un'etica professionale che li porta fuori da logiche aziendalistiche, create in realtà ad hoc per tagliare finanziamenti statali alle scuole.
La scuola della Costituzione è stata concepita per formare l'uomo libero, il cittadino che dovrà esercitare domani il diritto di voto, dotato di una coscienza critica che gli consenta di affrontare le sfide del futuro. In quest'ottica, lo studente deve sviluppare un pensiero divergente per destreggiarsi in ambiti oggi inesplorati. Il cittadino che esercita responsabilmente il diritto di voto deve conoscere la storia, la storia dell'arte, la filosofia, la matematica, le letterature e le lingue. Perché un cittadino decontestualizzato a livello culturale sarà facile preda delle logiche volatili del mercato, delle informazioni ingannevoli del web, delle élite e delle caste che ne faranno ciò che a loro conviene.
Oggi è urgente dare alle scuole qualità, non quantità di attività a monte ore invariato. Da quando il docente non assolve più in modo riconosciuto alla sua funzione di formatore di qualità si è scatenato contro la categoria un odio sociale che trova riscontro in numerosi fatti di cronaca. In lui si riconosce un parassita, un autocrate senza autorevolezza perché il docente, svuotato del suo ruolo e riempito di oneri burocratici, ha perso la sua connotazione sociale, pur in un contesto di povertà educative e culturali fortissime, per cui del suo ruolo ci sarebbe bisogno come dell'aria. Ma c'è una politica che da vent'anni lavora sottobanco per distruggere la scuola; una politica fatta di tagli mascherati e di marchette alle agenzie formative private che ben conosciamo.
I docenti che hanno continuato a lavorare in classe e a valutare in modo corretto e attendibile sono stati mortificati e scoraggiati in tutti i modi possibili: è stato praticamente vietato bocciare o sospendere il giudizio, salvo in casi inconciliabili con le limitazioni imposte dalla legge per l'ammissione all'anno successivo. Queste misure - la bocciatura e la sospensione di giudizio - hanno un costo, non si tratta di buonismo.
È stato introdotto il cosiddetto bonus di merito, elargito senza trasparenza, annualmente, dal dirigente scolastico solo al docente che si presta ad assolvere a funzioni extracurricolari, per cui per giunta è anche retribuito a parte, che in classe spesso non mette piede e fa lezioni in videoconferenza, quando le fa.
Sono stati, dunque, previsti premi per chi si adegua a vanificare la funzione autentica della scuola pubblica. A chi si impegna per tenerla in piedi, invece, toccano marginalizzazione, nella migliore delle ipotesi, e forme di mobbing mascherato, nella peggiore.
In questa politica allo sfascio io vedo un disegno, un disegno che porta beneficio solo a un mercato parallelo privato della formazione, che vuole creare bisogni dove erano gratuitamente garantite qualità e possibilità di mobilità sociale per tutti, come prevede la Costituzione all'articolo 34.
Sfido chiunque ad accedere ad una facoltà ad accesso programmato oggi senza frequentare un corso dal modico costo di almeno 1.200/1.500 euro. Tutti gli studenti con disagio sociale sono destinati a rimanere esclusi, anche i migliori.
La politica da oltre vent'anni vede centrodestra e centrosinistra protagonisti indiscussi, rispettivamente, di tagli al comparto scuola e di forme evidenti di lobbismo culturale e formativo, attraverso la condivisione di progetti di associazioni private come la Fondazione Agnelli, la Compagnia di San Paolo, l'associazione TreeLLLe, per intendersi quelle che hanno dettato la buona scuola, una riforma fatta per distruggere l'istruzione pubblica, a partire dai percorsi di reclutamento dei docenti lunghi tre anni ma non selettivi, per finire con il numero esorbitante di ore di alternanza scuola lavoro senza un suo spazio dedicato all'interno del calendario scolastico.
I docenti sono una categoria mansueta in genere, ma quando dicono basta è segno che si è passata la misura. Lo hanno dimostrato l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e delle elezioni politiche il 4 marzo 2018. La scuola statale pubblica va oggi riscritta con chi la vive quotidianamente, quindi con docenti, dirigenti, studenti, famiglie e personale non docente.
Ad oggi, abbiamo modificato il sistema di reclutamento, ridotto e ridefinito l'alternanza scuola lavoro e, infine, cancellato questo ennesimo abominio della chiamata diretta e titolarità su ambito territoriale. Sappiamo che ancora la strada da percorrere è lunga e in salita, ma se vogliamo dare un futuro ai nostri giovani e al nostro Paese dobbiamo riportare la scuola italiana ai livelli qualitativi per cui era un modello a livello internazionale.
Proprio perché ritengo che questo di oggi sia il coronamento di quattro lunghi anni di lotte della vera buona scuola italiana, voglio riportare alcune frasi di colleghe e colleghi con cui abbiamo fatto letteralmente le barricate, non interrompendo mai la mobilitazione, perché prima o poi tutte le forze politiche devono confrontarsi con le loro riforme e i loro elettori e i nodi vengono al pettine.
Ne cito tre nelle quali mi ritrovo in pieno che costituiscono un monito per chi si improvvisa nel ruolo di legislatore scolastico rimanendo assolutamente autoreferenziale. Una è: «Va sempre ricordata con puntualità la modalità con la quale la 107 è stata imposta a calci ad un Paese le cui necessità non erano certo quelle che vedevano la scuola come azienda nella quale piazzare nuovi e sempre vecchi interessucci economici».
Un'altra: «Renzi era solito chiamare "sfogatoio" ogni tentativo di dialogo e di partecipazione che i cittadini tentavano di esercitare. I suoi accoliti erano soliti interagire con il lamentoso "bestiame" da governare con sovrano disprezzo». Una terza: «Le lamentele generali erano l'effetto dell'estromissione dei cittadini dalla cosa pubblica, trattati come scimmie cretine da governare con il bastone». Queste sono parole di docenti!.