I capisaldi della riforma Gentile

La riforma degli ordinamenti scolastici e universitari, degli esami e dei programmi di insegnamento che va sotto il nome di riforma Gentile venne decisa nei venti mesi (31 ottobre 1922-1° luglio 1924) in cui il filosofo fu ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini.  Tra i principi ispiratori della riforma Gentile troviamo la definizione della libertà di insegnamento come diritto e dovere di realizzare, attraverso l’educazione pubblica, un principio statuale autoevidente e assoluto: nell’attualismo gentiliano il farsi dello Spirito non può essere distinto dal fare lo Spirito. La pedagogia gentiliana rifuggiva da ogni pluralismo fattuale e da ogni possibile discontinuità nel rapporto tra maestro e allievo e tra Stato e società. Una seconda caratteristica, a livello di principi, fu l’innalzamento della scuola governativa a luogo di autentica formazione e selezione della classe dirigente, con la conseguente trasformazione di alcune scuole secondarie, l’eliminazione di altre e l’introduzione di nuove di tipo diverso. Sul piano degli obiettivi troviamo la soppressione delle classi aggiunte nelle scuole secondarie superiori – che pone fine alla disorganica proliferazione di singole classi e di impieghi non programmati di insegnanti precari – una semplificazione virtuosa delle discipline attraverso l’abbinamento delle materie affini; un sistema di esami, per passare da un grado scolastico all’altro, affidati a insegnanti diversi da quelli della classe di provenienza; la fissazione degli obiettivi pedagogici attraverso precisi programmi di esame invece che attraverso il controllo diretto dei singoli professori e dei loro metodi di insegnamento; la semplificazione dei corsi di studio e la riorganizzazione della struttura tecnica di supporto e di ispezione; un’articolazione nuova dell’istruzione universitaria, basata sulla gerarchizzazione delle sedi e sull’accentramento del governo delle stesse.