Bestemmiare in classe è reato ?


La parola bestemmia deriva dal greco βλασφημία, che è formata dal verbo greco βλάπτειν (“ingiuriare”) e dal sostantivo φήμη (“reputazione”); ha quindi la stessa radice della parola blasfemia. Letteralmente, dunque, bestemmia significa diffamazione, calunnia, offesa della fama e della reputazione di qualcuno; nel greco profano poteva essere rivolta alla divinità ma anche a una persona, e lo stesso era nella prima versione della Bibbia in lingua greca. Si potrebbe dire che all’inizio ciò che contava era innanzitutto l’azione dell’offesa, non l’oggetto di quell’azione. Col tempo, il significato più diffuso di bestemmia si è concentrato invece sull’oggetto: Dio o in generale ciò che ha a che fare con Dio. Anche le aule delle nostre scuole sono oggetto di bestemmie. 

Si ricorda che in Italia la blasfemia era prevista dal codice penale come reato, inserita fra le contravvenzioni «concernenti la polizia dei costumi». La formulazione originaria (del 1930) dell’articolo 724 del codice penale puniva solo l’offesa alla religione cattolica. Con la sentenza 18 ottobre 1995, n. 440 della Corte Costituzionale si estese la condotta sanzionabile all’offesa alla divinità venerata in ogni credo religioso, non più solo a quella venerata nella religione cattolica. Attualmente la bestemmia è considerata un illecito amministrativo, essendo stata depenalizzata con la legge 25 giugno 1999, n. 205. La versione attuale (vigente) dell’articolo 724 (“Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti”) è la seguente: “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità, è punito con la sanzione amministrativa da euro 51 a euro 309. […] La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti”.